«BOBBY»

di FRANCESCO MININNIE’ lodevole l’intento di Emilio Estevez, figlio di Martin Sheen e quindi liberal dalla nascita, di ricostruire l’ultimo giorno di vita del senatore Robert Kennedy attraverso le vite di altra gente che, per un motivo o per l’altro, si trovavano il 5 giugno 1968 all’Hotel Ambassador di Los Angeles. Lodevole, ma parziale e in un certo senso incompiuto. Un po’ perché la struttura del film, pur caratterizzato da ottime notazioni e interpretato da un cast di prim’ordine, è troppo simile a quelle di tanti film catastrofici con tante piccole storie che saranno in qualche modo segnate dall’evento drammatico.

Un po’ perché, pur attore di una certa esperienza e con già qualche regia al suo attivo, Estevez non è certo Robert Altman. Così «Bobby», che per svariati motivi riecheggia la coralità e l’essenza stessa di quel capolavoro che è stato «Nashville», proprio dall’inevitabile confronto con una pietra miliare ne esce fatalmente ridimensionato.

Tutto questo, naturalmente, non può farci ignorare le motivazioni di Estevez, la nobiltà dei suoi intenti, comunque l’abilità con cui l’autore ha saputo gestire una materia tutt’altro che agevole. Diciamo che «Bobby», cinematograficamente discutibile, recupera terreno nella sincera aspirazione a una democrazia di cui gli idealisti non si debbano un giorno vergognare.

L’idea giusta di Estevez (come lo fu di Oliver Stone in «JFK») è quella di non mostrare mai Robert Kennedy in immagini che non siano di repertorio. Anche perché il vero protagonista di «Bobby» non è lui, ma la gente. Un direttore d’albergo, una parrucchiera, una cantante alcolizzata, un portiere in pensione, un cameriere messicano, un hippy spacciatore di droga e molti altri la cui vita sarebbe forse cambiata se il giordano Shiran Shiran non avesse fatto fuoco contro il probabile prossimo presidente degli Stati Uniti.

Raccontando le loro piccole storie, tutte necessarie anche se non tutte adeguatamente approfondite, Estevez ottiene un quadro talvolta scontato ma comunque indicativo di un’epoca di incertezza e, soprattutto, di infausti presagi. Come dire: può anche darsi che «Bobby» si prenda qualche licenza di troppo con situazioni al limite del fotoromanzo, ma non è un prezzo troppo alto da pagare per raccontare la fine di un sogno che nessuno è più stato in grado di far rifiorire.Tra gli attori fanno ottima figura Anthony Hopkins (il portiere in pensione appassionato di scacchi), William H. Macy (il direttore), Sharon Stone (la parrucchiera) e Freddy Rodriguez (il cameriere messicano).

A livello tecnico, di rilievo la scena che precede l’azione del killer accompagnata dalle note di «The Sounds of Silence» di Simon & Garfunkel. Con tutti i suoi limiti, «Bobby» è comunque un film capace di farci riflettere su un passato ancora recente e sul futuro che stiamo vivendo.

BOBBY (Id.) di Emilio Estevez. Con Sharon Stone, Demi Moore, Elijah Wood, William H. Macy, Anthony Hopkins. USA 2006; Drammatico; Colore