IL MATRIMONIO DI TUYA

DI FRANCESCO MININNI

I luoghi sono gli stessi in cui si muovevano «La storia del cammello che piange» e «Il cane giallo della Mongolia»: la Mongolia, appunto, ovvero una terra in cui tradizione significa vita e saggezza e dove il progresso, se iniettato in dosi massicce, potrebbe distruggere invece che far andare avanti. «Il matrimonio di Tuya», del cinese Wang Quanan, focalizza proprio questo problema. E lo fa con leggerezza, senza estremismi, con un preciso senso di una poesia che si stia concludendo senza lasciare spazio a una continuità. Se ne sono accorti a Berlino, dove il film è stato premiato con l’Orso d’oro. Se ne accorgeranno anche quanti, superando gli ostacoli di una distribuzione limitata, riusciranno a vederlo e ad apprezzarne la semplicità e la sincerità, nonostante le evidenti difficoltà di riuscire a rendersi partecipi di un mondo e una mentalità tanto lontani e diversi.

Tuya vive di pastorizia, ma nonostante le poche necessità deve superare enormi difficoltà per riuscire a sfamare il marito (rimasto invalido nel tentativo di scavare un pozzo) e i due figli. Le pecore e gli esseri umani hanno bisogno dell’acqua per sopravvivere, ma la terra di Tuya ne è sprovvista. Nell’impossibilità di scavare un pozzo, la donna è costretta a due viaggi giornalieri per riempire di acqua i serbatoi. Così, fatalmente, si pone il problema della necessità di un uomo valido che possa svolgere le funzioni che Bater non è più in grado di eseguire. Tuya sarebbe anche disposta a riprendere marito, ma alla condizione che il prescelto accettasse di prendere in casa anche Bater. Sembra facile uscire dal solco di una consolidata tradizione per disegnare un quadro familiare decisamente fuori del normale: ma o il candidato propone di mettere Bater in un ricovero, o si dimostra comunque inaffidabile, o manca di qualche requisito. Senza contare che ci sarà sempre qualcuno pronto a canzonare i figli «di due padri». Il futuro di Tuya è tutt’altro che sereno.

Quanan sembra quasi non intervenire nella vicenda, limitandosi a filmare cose che accadono nella realtà. Assommato al fatto che l’unica attrice professionista è la protagonista Yu Nan e che tutti gli altri sono gente del posto che interpreta personaggi che portano il loro stesso nome, questo fa de «Il matrimonio di Tuya» un altro ottimo esempio di realismo più ruvido e scarno che poetico. Nella vicenda di Tuya non è difficile leggere il percorso di un intero paese che, posto di fronte alle alternative del progresso quando la tradizione non basta più, deve operare una difficile scelta tra vita e sopravvivenza. Esemplare in questo senso la conclusione del film: mentre il promesso sposo attende azzuffandosi con Bater e il figlio reagisce violentemente a chi lo sbeffeggia per la doppia paternità, Tuya piange da sola in una capanna. Non può esserci conclusione per una storia che mette in campo argomenti tanto basilari e profondi.

Yu Nan si dimostra attrice sensibilissima, soprattutto capace di dare l’impressione di non stare assolutamente recitando per tenersi al passo di tutti i non attori che la circondano. E Wang Quanan riesce a trarre forza e significato da ogni paesaggio, da ogni animale, da ogni essere umano che inquadra con il suo obiettivo. Di origine mongola, sa benissimo da dove viene e dove potrebbe essere costretto ad andare.

IL MATRIMONIO DI TUYA (Tuya de hun shi) di Wang Quanan. Con Yu Nan, Bater, Sen’ge, Zhaya. CINA 2006; Drammatico; Colore