LA RAGAZZA DEL LAGO

DI FRANCESCO MININNI

Lo spunto di partenza de «La ragazza del lago» è fornito da un romanzo poliziesco di Karin Fossum. Ma c’è da scommettere che Andrea Molaioli, già assistente di Nanni Moretti da «Palombella rossa» a «La stanza del figlio», se ne è servito come semplice traccia narrativa per andare a scavare (o a tentare di farlo) nei suoi personaggi, nel rapporto tra caratteri e ambiente, e soprattutto in quel compagno di viaggio talvolta rassicurante talvolta scomodo e ingombrante che si chiama passato. Il risultato è un film che si lascia seguire anche al di là della curiosità di sapere come sia veramente andata, ma anche un film eccessivamente costruito su una freddezza che sa un po’ di maniera, quasi a voler riproporre negli scenari friulani gli stessi fantasmi nell’armadio, la stessa crudeltà di provincia, le stesse elucubrazioni su borghesia e proletariato tipici di Claude Chabrol. Sarà forse per questa parentela che dal film emerge una sensazione di già visto sia nel modo di trattare l’ambientazione che nel lungo pedinamento dei vari personaggi che lo attraversano.

La scoperta del corpo di una ragazza morta sulle rive di un lago sconvolge l’apparente tranquillità di un paesino friulano. Ogni armadio ha i suoi scheletri: quando questi si mettono a saltar fuori tutti insieme, potrebbe essere problematico per il commissario incaricato dell’indagine scegliere quello giusto. Senza contare che il funzionario stesso ha una situazione familiare che sembra fatta apposta per impedirgli di lavorare serenamente. Le risposte, naturalmente, si trovano nel passato, ma non necessariamente in quello prossimo. Bisogna riconoscere a Molaioli la capacità di evitare le trappole dell’intreccio poliziesco per concentrarsi invece sui diversi aspetti psicologici della vicenda. Un matto che non ha mai fatto male a nessuno, un innamorato che attira tutti i sospetti, un padre dall’affetto quasi morboso, una coppia separata dopo la morte di un figlio cui la ragazza faceva da baby-sitter e, per il commissario, una moglie colpita da una malattia progressiva e una figlia con cui fatica a dialogare: tutti tasselli che, di diversa importanza, contribuiscono a restituirci l’immagine di un mondo che soffre di solitudine, di tristezza e, spesso, di cattiveria. Molaioli non sembra animato da particolari speranze: lo guida soltanto la consapevolezza del buio che stiamo attraversando.

Complessivamente da lodare il contributo degli interpreti, dal commissario di Toni Servillo («I matti son tutti buoni prima di diventare cattivi») alla breve, intensa partecipazione di Anna Bonaiuto nel ruolo della moglie ricoverata, dal sempre tormentato Fabrizio Gifuni al patriarcale Omero Antonutti. Dovremmo anzi dire che buona parte dei meriti del film è da ascrivere all’amalgama dei numerosi interpreti, che talvolta riescono a farci dimenticare alcuni sapori già assaggiati in modo da far sembrare il film più originale di quanto non sia. È comunque evidente che «La ragazza del lago» si colloca in quel sempre più ristretto numero di onesti prodotti medi dei quali non andrebbe sottovalutata la valenza positiva. Come abbiamo già avuto modo di dire, se dovessimo vivere di capolavori potremmo anche morire di fame.

LA RAGAZZA DEL LAGO di Andrea Molaioli. Con Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino. ITALIA 2007; Drammatico; Colore