12

DI FRANCESCO MININNI

Basandosi su un dramma scritto per la televisione da Reginald Rose, cinquant’anni fa Sidney Lumet dette una grande lezione di democrazia con «La parola ai giurati». Oggi, basandosi sulla medesima sceneggiatura, Nikita Mikhalkov dimostra con «12» come sia possibile realizzare un remake trasformandolo in qualcosa di diverso dall’originale. La storia di Rose, rivista e riscritta in Russia, diventa a tutti gli effetti un film russo, che non ci parla soltanto della Russia contemporanea e di tutti i difetti di un regime che ben conosciamo, ma ci fa anche capire che, essendo trascorsi cinquant’anni senza apprezzabili miglioramenti, non è più il momento di dare lezioni di democrazia: è il momento di guardare negli occhi la realtà.

I dodici giurati moscoviti sono chiamati a decidere la sorte di un ragazzo ceceno accusato di aver ucciso il padre adottivo, un ufficiale russo a riposo. Alla prima votazione, undici lo indicano colpevole. Soltanto uno, che chiede almeno un po’ di discussione, vota per la non colpevolezza. Poi, piano piano, altri cominciano a cambiare idea. Mentre emergono le storie di ciascuno, da cosa possa derivare un atteggiamento piuttosto che un altro, emerge anche la situazione della Russia attuale. La tendenza a considerare i ceceni dei selvaggi, l’inossidabile nodo della burocrazia, i problemi derivati dal consolidarsi di una pericolosa forma di capitalismo, la difficoltà di dialogo e quindi del rapporto interpersonale. A tutto questo si aggiunge la progressiva scoperta di come la morte dell’ufficiale sia legata a un problema di speculazione edilizia.

Ora, se fossimo nel film di Lumet i nodi verrebbero al pettine e, passati tutti i giurati alla convinzione dell’innocenza, il giovane potrebbe riavere la sua libertà. Ma è qui che Mikhalkov, con un colpo di coda davvero interessante, solleva un quesito fondamentale: l’innocenza, quindi la scarcerazione dell’imputato, lo trasformerebbe in un facile bersaglio per chi pensava di aver risolto tutti i problemi accusandolo del delitto. Ci si chiede, pertanto, se non sarebbe più conveniente e sicuro per lui un verdetto di colpevolezza: in carcere godrebbe sicuramente di un’esistenza più lunga. Ma ciò comporterebbe un impegno, da parte di tutti i giurati, nel far luce sui veri responsabili e poi nel far scarcerare il ragazzo. I tempi sono cambiati e, nonostante tutti i buoni propositi, la maggioranza propende per un verdetto d’innocenza. Così tutti possono tornare a casa con la coscienza tranquilla. Tutti tranne il presidente della giuria (un artista, incidentalmente lo stesso Mikhalkov) che sembra l’unico a conoscere fino in fondo la voce della coscienza.

«La parola ai giurati» resta un capolavoro inarrivabile. Ma “12”, che dura un’ora in più e va incontro a molti problemi di equilibrio, ritmo e rigore, ha il gran pregio di essere un altro film. Fingendo il thriller giudiziario, Mikhalkov ci parla di attualità, buone e cattive coscienze, umane debolezze, politica, storia. Tutto rigorosamente russo, eppure pieno di riferimenti a situazioni interiori che potrebbero appartenere a qualunque latitudine. Con dodici attori (lui compreso) molto diversi dalla tipologia degli originali, ma ugualmente bravi a non far mai cadere la tensione psicologica o a trasformare il confronto umano in umorismo involontario. Di sicuro l’autore ha molta fiducia in se stesso: non a caso riserva per sé il personaggio dell’artista, l’unico a saper andare oltre l’apparenza.

12 (12 razgnevanny muzhchin) di Nikita Mikhalkov. Con Sergey Makovezkij, Nikita Mikhalkov, Mikhail Yefremov, Sergei Garmash, Valentin Gaft. RUSSIA 2007; Drammatico; Colore