KUNG FU PANDA

DI FRANCESCO MININNI

E’ un fatto che il cinema d’animazione in quanto prodotto dedicato eminentemente al pubblico dei bambini (con un po’ di sforzo anche degli adolescenti) non esiste quasi più. E non è neanche difficile capire il perché: se l’esito commerciale di un film dipende dalla vastità del pubblico che riesce a richiamare, appare chiaro come un prodotto solo per bambini possa avere vita dura. Il ragionamento dovrebbe essere il seguente: l’importante è richiamare il pubblico più numeroso possibile e i bambini, trattandosi di animazione, verranno di conseguenza. Il risultato, da qualche anno a questa parte, è un cinema d’animazione, Disney compreso, che non è più un cinema per ragazzi ma non è esattamente un cinema solo per adulti. «Kung Fu Panda», prodotto dalla Dreamworks di Spielberg e diretto da Mark Osborne e John Stevenson, è molto esplicativo al riguardo.

La storia di Po, un panda decisamente sovrappeso che a seguito di circostanze particolari viene scelto come nuovo guerriero Dragone e destinato allo scontro con il temibilissimo leopardo Tai Lung potendo contare esclusivamente sulle proprie forze e sulla guida illuminata del maestro Shifu (un procione), non è quel che si dice una fiaba. Fiaba per adulti, forse, ma non fiaba nell’accezione classica del termine. E’ vero che alla radice del racconto si possono intravedere «La spada nella roccia» e «Karate Kid», che sono due tipici viaggi iniziatici alla scoperta di una vocazione. Ed è anche vero che si sprecano le citazioni da «Star Wars» nel rapporto tra Shifu e Po che riecheggia esplicitamente quello tra Yoda e Skywalker. Ma di tutto questo gli autori hanno preso soltanto quanto potesse allontanarsi dalle storie che cominciano con «c’era una volta…», preferendo rendere omaggio al cinema delle arti marziali con tematiche decisamente adulte. Non è un caso se il film Disney cui «Kung Fu Panda» assomiglia di più è «Mulan». E c’è anche da notare come «Kung Fu Panda», pur essendo popolato di personaggi bizzarri e in un certo senso pittoreschi, non sfrutti affatto la forza dei caratteristi. I cinque guerrieri allenati da Shifu, ovvero Tigre, Mantide, Vipera, Scimmia e Gru, restano sullo sfondo senza esibire caratteristiche degne di memoria. Il film si compone di un protagonista (Po), un antagonista (Tai Lung) e un solo vero caratterista (Shifu). La sostanza si riconduce al fatto che un panda entusiasta ma obiettivamente incapace dovrà essere addestrato a confidare in se stesso senza l’aiuto di ingredienti segreti o rivelazioni straordinarie: soltanto prendendo atto del valore della propria forza potrà affrontare un avversario apparentemente molto più forte di lui con qualche speranza di batterlo e di riportare la pace nella vallata. A parte il fatto che si tratta di una tematica vecchia come il mondo, è evidente che nessuno nutre dubbi su come andrà veramente a finire. Tanto è vero che gli autori, quando si arriva allo scontro finale, omettono persino di entrare nel dettaglio del colpo decisivo dando per scontato che nessuno, sull’onda dell’entusiasmo, si fermerà a chiedere perché. Noi sappiamo soltanto che il mirabolante colpo segreto ci ha ricordato, chissà perché, la conclusione di «Kill Bill».

E allora, se proprio vogliamo andare a spaccare il capello, si apprezza molto di più il brillante duello tra Po e Shifu che si contendono un raviolo senza esclusione di colpi: è decisamente più simile a quello che secondo noi avrebbe dovuto essere un film d’animazione come questo. Che, nella perfezione del tridimensionale e nelle escursioni parafilosofiche, non riesce a ritrovare lo spirito della fiaba.

KUNG FU PANDA (Id.) di Mark Osborne e John Stevenson. USA 2008; Animazione; Colore