LA CLASSE (Entre les murs)
DI FRANCESCO MININNI
Il punto di vista di Laurent Cantet nell’affrontare il tema della scuola, dei rapporti tra insegnanti e studenti, tra insegnanti e famiglie, tra famiglie e studenti, dei conflitti razziali che esplodono in strada ma si ripropongono immancabilmente in classi multietniche, è giusto. Non c’è un eroe che sa e può tutto, quello che tutti attendono per risolvere i problemi. I ragazzi hanno i loro problemi, gli insegnanti hanno i loro problemi, le famiglie hanno i loro problemi. Il confronto, pertanto, è paritario. Chiunque può dare e prendere, contribuendo comunque alla soluzione o al permanere (e peggiorare) dei problemi. «La classe», legittimo vincitore della Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes, appassiona senza esasperazioni drammatiche, coinvolge senza trucchi spettacolari, aiuta a capire una realtà molto difficile da affrontare e lo fa con estrema sincerità, linguaggio chiaro e comprensibile, nessun preconcetto e grande pulizia formale. Ispirandosi al libro di un insegnante, François Bégaudeau, che è anche stato scelto da Cantet per interpretare il ruolo di se stesso, l’autore ci stimola fino a un certo punto al confronto con un grande classico del cinema sulla scuola, «Il seme della violenza» di Richard Brooks. Per farci capire subito, però, che i tempi sono cambiati e che oggi rimane pochissimo spazio per l’idealismo. Che cioè il confronto tra razze nel 20° Arrondissement di Parigi nel 2008 non può essere neanche lontanamente paragonato a quello in una metropoli americana degli anni Cinquanta. Là qualcuno poteva concepire l’idea di collaborare con il professore (che equivale a dire con il potere) per dare un esempio a coetanei e compagni.
Oggi nessuno ha voglia non diciamo di collaborare, ma neanche di parlare. E senza dialogo nessun conflitto può trovare spiegazioni.
Se Cantet fosse stato Richard Brooks, ad esempio, avrebbe finito per concedere allo studente africano Suleyman la possibilità di affrancarsi dal proprio individualismo ribelle per andare incontro alla vita con qualche speranza di dignità e sopravvivenza. Cantet, invece, sa che questo avrebbe coinciso con una forzatura psicologica ed emozionale e, a malincuore ma con il senso della realtà, preferisce “condannarlo” a un’espulsione che per lui potrebbe anche coincidere con il ritorno in Africa verso nessun futuro. E d’altronde ci sono anche quelli che, pur difficili e scorbutici, cercano di sollevarsi dalla melma e dal degrado. È evidente, e Cantet lo afferma senza mezzi termini, che in questo caso è indispensabile una controparte (un insegnante, un genitore, una istituzione) che capisca e aiuti. «La classe» (meglio l’originale «Entre les murs», che fa capire subito che per tutto il film la macchina da presa non si allontanerà dalle mura della scuola) non racconta storie rassicuranti.
Cantet e Bégaudeau sanno che i problemi ci sono e che non sarà per niente facile risolverli. Sarà impossibile farlo seduti a un tavolo di trattative (di qualunque genere), sarà difficile sul campo di battaglia. Ma almeno hanno l’intelligenza di parlare di uomini, donne e ragazzi veri, che mai una volta fanno riferimento a modelli letterari o cinematografici ma prendono ispirazione soltanto dalla realtà. E la fanno sentire tutta la durezza di un mondo nel quale non si parla, non si ascolta e si fa il possibile perché la convivenza tra razze assomigli sempre più a una nuova Babele. Un mondo nel quale l’eroismo è anche semplicemente uscire di casa la mattina con il proposito di fare il proprio dovere. Nonostante tutto.