VERSO L’EDEN

DI FRANCESCO MININNI

Forse rendendosi conto che l’età (76 anni) e una certa stanchezza non gli permettono più di lanciarsi nei suoi pamphlet politici che da «Z» a «Missing» gli hanno dato fama e fortuna, Costa-Gavras, che non intende rinunciare a guardarsi intorno e ad analizzare la realtà che lo circonda, per raccontare la storia di un emigrante e delle sue traversie in un lungo viaggio verso Parigi sceglie un cambio di tono e di registro espressivo. Così «Verso l’Eden» diventa una sorta di fiaba surreale e occasionalmente poetica, rinunciando fin dall’inizio a una rappresentazione realistica che avrebbe per forza di cose invocato il registro drammatico. Che si tratti di un dramma è fuori di dubbio. Ma è anche vero che l’autore ha optato per una rappresentazione leggera, spesso sognante, che se non intacca l’importanza dell’assunto rischia talvolta di fuorviare per eccesso di astrazione. Ricordiamo comunque che non è il caso di parlare di esperimento: già ne «La piccola apocalisse» Costa-Gavras aveva adottato toni grotteschi più di pertinenza del campo della commedia. E, anche se non sembra l’approccio a lui più congeniale, bisogna dire che «Verso l’Eden» mostra una vitalità diversa rispetto alle ultime prove («Cacciatore di teste») dall’esito discutibile.

Elias è un emigrante clandestino. Non sappiamo da dove venga (non è né albanese né greco, come ha detto qualcuno) ma soltanto che vuol raggiungere Parigi. Gettatosi in mare dalla barca raggiunta dalla polizia costiera, approda su una spiaggia di nudisti. È un villaggio vacanze che si chiama Eden. Da qui, dove incontrerà una tedesca gentile e un illusionista cinico, Elias comincia il suo viaggio. Troverà aiuto più o meno disinteressato, ma alla fine riuscirà ad arrivare a Parigi. Il che non significa niente: a quanto pare la sua vocazione (o meglio, il suo destino) è quello di continuare a camminare probabilmente senza meta.

Il difetto di «Verso l’Eden» è di essere un fiume con una miriade di affluenti. Alcuni importanti, altri trascurabili. E Costa-Gavras, che di certo non riesce a rendere il materiale omogeneo, si limita ad assemblare senza distinguere tra episodi significativi ed altri totalmente superflui. Alla base di tutto resta la sua vocazione di polemista democratico e perennemente arrabbiato, cui però non corrisponde altrettanta potenza di rappresentazione. Le fonti, ad esempio, si dividono equamente tra Omero (il percorso di Elias è in tutto e per tutto un’odissea) e Charlie Chaplin (il vagabondo, lo stesso che andava verso l’orizzonte in «Tempi moderni» e che ora va verso la Tour Eiffel illuminata) con tutta una serie di personaggi collaterali ora centrati ora appena abbozzati. «Verso l’Eden», che possiede comunque una forza simbolica piuttosto costante, finisce per essere un teorema privo di formule risolutive. Nel quale Riccardo Scamarcio dà ulteriore conferma dei risultati cui potrebbe portarlo la sua ricerca d’identità artistica, anche se non sembra ancora in grado di reggere da solo le sorti di un film come questo.

Alla fine, preferiamo ricordare le cose belle. Come Elias che, convinto di aver illuminato la Tour Eiffel con la bacchetta magica datagli dall’illusionista, tenta di fare lo stesso con la polizia in assetto di guerra. Ma rilevato come la magia in questo modo non funzioni, capisce subito che è il momento di rimettersi in cammino. È proprio vero che il vagabondo di Charlot, col passare degli anni e con il cambiamento delle facce che lo raffigurano, rimane sempre inconfondibile.

VERSO L’EDEN (Eden à l’Ouest) di Costa-Gavras. Con Riccardo Scamarcio, Juliane Köhler, Ulrich Tukur, Anny Duperey. G/F/I 2009; Drammatico; Colore