GLI AMICI DEL BAR MARGHERITA

DI FRANCESCO MININNI

Ricordare non vuol dire necessariamente vivere di nostalgia. Certo, la componente è forte: soprattutto quando si parla di un’epoca (gli anni Cinquanta, più precisamente il 1954) in cui c’erano aspettative, promesse, sogni. Che però, nel momento in cui non sono stati realizzati, lasciano nostalgia soltanto per gli amici, le atmosfere, quella sorta di magia che inevitabilmente prende chi da lontano scruta nel passato. Con «Gli amici del Bar Margherita» Pupi Avati dà conferma di una grande verità: non esistono brutti ricordi. Se non altro perché, nel momento in cui si ricercano e si ritrovano, sono comunque filtrati dalla nostra esperienza e quindi mai obiettivi, quasi mai veritieri. In fin dei conti, come dice L.P. Hartley, «il passato è una terra straniera: lì tutto succede in modo diverso da qui».

Ecco quindi che le burle, gli scherzi anche crudeli, gli amori, le persone stesse assumono un connotato quasi fiabesco, da isola che non c’è, dove qualcuno muore ma nessuno invecchia. Così questo nuovo tassello della memoria di Avati, che non è in assoluto il suo più significativo e importante, serve comunque a rassicurarci su un autore che sa quel che fa e che ha il coraggio di non esitare di fronte a un argomento che potrebbe prestare il fianco alle solite critiche di chi sostiene che Pupi Avati sia troppo ancorato al proprio passato o peggio che faccia sempre lo stesso film.

Nel 1954 a Bologna il Bar Margherita è un punto di ritrovo di varia umanità. Da Al, viveur e campione di biliardo, a Manuelo, che si definisce «linfomane» (che dovrebbe voler dire ammalato di attrazione per il sesso femminile) e vive di espedienti. Da Gian, antennista e aspirante cantante, a Bep, che sul punto di sposarsi si innamora di una prostituta.

Da Zanchi, inventore delle cravatte con l’elastico, a Pus, così chiamato per l’abbondanza di foruncoli. Questi ed altri sono osservati con interesse, stupore, affetto, ammirazione e alla fine disincanto da Taddeo, diciottenne più conosciuto come Coso, che alla fine, al momento della tradizionale foto ricordo annuale, preferirà non figurare ed osservare da dietro la macchina fotografica. E questo è proprio Pupi Avati che, trovate strada e fortuna a Roma, continuerà ad osservare il proprio passato. Ma da lontano.

La coralità che ha sempre contraddistinto le opere di Avati legate ai propri ricordi si accentua ne «Gli amici del Bar Margherita» in una fitta frammentazione di personaggi ed episodi dai quali ogni spettatore potrà trarre chi e cosa vorrà.

Di certo non passano inosservati il nonno di Taddeo, interpretato con grande maturità da Gianni Cavina, e Bep, cui Neri Marcorè presta la propria goffaggine con risultati molto toccanti. E non si può sorvolare sul fatto che, dopo tanti film che lo hanno visto tormentato e sofferente, finalmente Luigi Lo Cascio ha a disposizione un personaggio, Manuelo, che non fa altro che ridere. Avati, oltre ad essere un gran narratore, ha una straordinaria capacità di definizione dei caratteri e di introspezione psicologica.

Alla fine «Gli amici del Bar Margherita» non è più un «come eravamo» con i lucciconi agli occhi, ma un divertito «come me li ricordo» nel quale ironia e affetto, uniti a una bellissima ricostruzione d’epoca, non fanno neanche venire in mente il problema della nostalgia, che sarebbe stato più un ostacolo che un obiettivo. «Gli amici del Bar Margherita» è attraversato da personaggi e situazioni che potrebbero far tornare in mente «Jazz Band» e «Cinema!!!».

Niente di strano: il serbatoio della memoria è lo stesso. Basta fare attenzione alle sfumature, però, per capire che il percorso artistico di Avati è tutt’altro che finito.

GLI AMICI DEL BAR MARGHERITAdi Pupi Avati.Con Diego Abatantuono,Neri Marcorè, Luigi Lo Cascio, Pierpaolo Zizzi, Gianni Cavina. ITALIA 2009; Commedia