CHE-L’ARGENTINO/GUERRIGLIA

DI FRANCESCO MININNI

Un film-fiume per raccontare la vicenda politico-rivoluzionaria dell’argentino Ernesto Guevara, meglio conosciuto come il Che, più o meno a quarant’anni dalla sua morte (con già due o tre film sull’argomento) non è, comunque la si veda, un’impresa agevole. Fortemente voluto dal protagonista Benicio Del Toro, che mostra una sorprendente aderenza fisica al personaggio, «Che», suddiviso in due parti per più di un motivo distinte, è stato affidato alla regia di Steven Soderbergh. Su questo, più che su punti di vista politici e verità storica, dovremmo aprire un dibattito. Se cioè sia stato opportuno affidare il tutto a un autore interessante ma da anni sopravvalutato, invece di puntare (ad esempio) su un esordiente appassionato che non si ponesse troppi problemi di stile. Perché in effetti lo scoglio che rende «Che» praticamente irraggiungibile è proprio la patina intellettuale, il calcolo, la prudenza, gli sbalzi di stile. Se da una parte Soderbergh sembra arrampicarsi sugli specchi per evitare il rischio del film d’azione, dall’altra non si rende conto che perdendosi dietro a tante domande si ritrova tra le mani una specie di santino iconografico assolutamente incapace di trasmettere la benché minima emozione, fisica o intellettuale che sia.

Si comincia in Messico nel 1955, quando Guevara conosce Fidel Castro e partecipa con lui alla rivoluzione cubana che avrà il suo culmine nel 1959. Si continua in Bolivia nel 1966 dove il Che, per opporsi alla dittatura militare di Barrientos, organizza anonimamente (facendosi chiamare prima Ramon poi Fernando) una resistenza armata cui lo stesso Castro darà un contributo in armi e uomini. Si finisce un anno dopo, nel 1967, con l’esecuzione di Guevara arrestato in seguito al tradimento di una popolazione contadina che, abituata alla tirannia, diffidava comunque dello «straniero».

Mentre ci si domanda se l’eco storica di Che Guevara sarebbe stata la stessa senza una morte che l’ha, di fatto, proiettato nell’empireo rivoluzionario trasformandolo nell’icona di tutte le lotte di classe, non si può fare a meno di interrogarsi sulle modalità scelte da Soderbergh per portare avanti il suo racconto. In cinemascope la prima parte, «L’argentino», in formato normale la seconda, «Guerriglia». Con un’attenzione addirittura maniacale nel tenere a distanza qualunque parvenza di cinema d’azione che a lungo andare rende il tutto drammaticamente inerte oltre che lento oltre i limiti del tollerabile. Non è né superficiale né dettato da prevenzione affermare che a film finito si fatica a rispondere alla semplice domanda «Ma chi era Che Guevara?», perché né Soderbergh né lo sceneggiatore Peter Buchman sembrano in grado di fornirci alcun strumento utile alla risposta. Si capisce soltanto che l’autore ha evitato i luoghi comuni dell’eroismo, del trionfalismo, della cartolina, dell’iconografia da T-shirt. Non si capisce, invece, quale debba essere la controparte. Così com’è, «Che» sembra raccontarci la storia di un guerrigliero entrato nel mito suo malgrado, unico premio a un idealismo scontratosi duramente con le asprezze della realtà. Teoricamente un tema interessante, ma inutilmente appesantito da una narrazione che fa il possibile per allontanare lo spettatore dal cuore del discorso con ritmi di esasperata lentezza. Viene da pensare che, concentrando il tutto in un solo film, il risultato avrebbe potuto essere più denso e immediato.

Certo, non si può fare a meno di apprezzare la passione sottocutanea che Del Toro mette nella sua interpretazione. Che si scontra però, per antitesi, con la manifesta freddezza di Soderbergh il quale, nel timore di scivolare nel sentimento, non trasmette né passione, né dolore, né idee.

CHE–L’ARGENTINO/GUERRIGLIA (Che) di Steven Soderbergh. Con Benicio Del Toro, Julia Ormond, Dèmian Bichir, Catalina Sandino Moreno. USA/F/E 2008; Biografico; Colore