LA MISMA LUNA

DI FRANCESCO MININNI

Per una curiosa coincidenza dovuta più che altro alla tempistica del mercato, si incrociano due film che trattano, sia pur con mezzi espressivi molto diversi, lo stesso argomento. Abbiamo appena finito di apprezzare «Crossing Over» di Wayne Kramer, che subito ci si presenta «La misma luna» di Patricia Riggen, in attesa di distribuzione da due anni e sicuramente proveniente dal sottobosco del cinema indipendente.

Per l’appunto l’episodio che fa da cornice al film di Kramer, il disperato tentativo di una donna messicana di riunirsi al figlio al di là del confine, rappresenta, a parti invertite, l’asse narrativo del film della Riggen. Nel quale si immagina (e si capisce bene come ci debba essere pochissima immaginazione nel narrare una storia di tutti i giorni) che Rosario, irregolare a Los Angeles, faccia il possibile per permettere al figlio Carlos (per tutti Carlitos) di raggiungerla negli Stati Uniti.

E che Carlitos, dopo la morte della nonna, non esiti ad accettare il primo «passaggio» che gli consentirebbe di attraversare la frontiera. Non è difficile immaginare come il suo viaggio sarà tutt’altro che agevole. Con l’auto bloccata alla frontiera, il bambino avrà bisogno dell’aiuto di tutti (una signora di buon cuore, un clandestino burbero ma buono, una forza d’animo fuori del comune, intuito e intelligenza) per ottenere il proprio scopo. E Rosario, sul punto di tornare in Messico dopo aver ricevuto la notizia della morte della madre e della sparizione del figlio, avrà la prontezza di appigliarsi all’ultima speranza. Madre e figlio, così, potranno riabbracciarsi sconfiggendo il prevedibile, l’imprevedibile e tutto il resto.

Non c’è dubbio che «La misma luna» affronti un argomento di attualità con quel po’ di sincerità che lo rende comunque apprezzabile. C’è da dire, però, che rispetto al film di Kramer sembra preponderante il lato sentimentale dovuto forse alla sensibilità femminile dell’autrice. Così i problemi dell’immigrazione clandestina, delle famiglie divise, dell’ingiustizia e della libertà diventano più che altro una rampa di lancio per una serata d’onore di quei buoni sentimenti che, invece di uscire direttamente dal cuore, passano dall’archivio del melodramma e ne escono ingigantiti e automaticamente meno credibili, più forzati, più cinematografici che reali.

Di solito la credibilità di una storia come questa si misura sulla quantità di lacrime versate: non dagli spettatori, ma dai personaggi del film. E ne «La misma luna» piangono in troppi in attesa del gran pianto finale che, facendosi portavoce di una speranza necessaria ma anche artefatta, rende il film una storia di finzione con occasionali elementi di verità.

Certo, una buona parte della responsabilità ricade sulle spalle di Patricia Riggen che, in possesso di uno stile meno incisivo di quello di Kramer, non ha il coraggio di cercare le ragioni della speranza in mezzo ai dolori reali. Preferisce giocare più sul sicuro allestendo un racconto di ordinaria disperazione nel quale tutto, proprio tutto, preannuncia un lieto fine cui mancano soltanto gli squilli di trombe per avere più rilevanza spettacolare. Indubbiamente il piccolo Adrian Alonso è una presenza rassicurante nel suo spontaneo aderire al personaggio di Carlitos senza giochetti di mestiere. Ma Kate del Castillo (Rosario) ed Eugenio Derbez (il compagno di viaggio) appartengono già al ramo professionistico della recitazione, il che comporta poche sorprese e molta tradizionale commozione telecomandata.

D’altronde, anche un film meno complesso di altri come «La misma luna» serve a tenere aperto un dibattito che dovrebbe portare a qualche conclusione (almeno teorica) su argomenti di ordinaria ingiustizia. Non saremo noi a negargli diritto di cittadinanza.

LA MISMA LUNA (Id.) di Patricia Riggen. Con Adrian Alonso, Kate del Castillo, Eugenio Derbez, Maya Zapata, Carmen Salinas. USA 2007; Drammatico; Colore