HARRY POTTER E IL PRINCIPE MEZZOSANGUE

DI FRANCESCOP MININNI

Harry Potter arriva a quota sei. E, per così dire finalmente, i piccoli maghetti crescono. È evidente che la fortunatissima saga ideata da J.K. Rowling prevede un’interpretazione simbolica, ovvero che le vicende di Hogwarts implicano una lettura che vada oltre i duelli dei maghi e l’eterno contrasto tra forze luminose e forze oscure.

Ed è altrettanto evidente che i significati della pagina scritta, frutto delle considerazioni di un adulto sul mondo degli adolescenti, non trovano nella riduzione cinematografica, fatalmente più attenta alle ragioni dello spettacolo che a quelle del ragionamento, adeguata corrispondenza. Bisogna dire tuttavia che, per quanto i personaggi non brillino per simpatia e talvolta si avverta la sensazione di una fantasia a rilento, il percorso del maghetto con gli occhiali ha un senso. Non foss’altro per la palese rappresentazione, diversa a seconda dell’età dei personaggi, della ricerca di un posto nella vita, dei grandi sforzi che si fanno per far fruttare i talenti ricevuti, delle spinte e controspinte che possono da un momento all’altro far abbandonare la retta via per rispondere a sollecitazioni tanto attraenti quanto oscure.

In «Harry Potter e il principe mezzosangue» si può dire che le forze oscure incarnate da Voldemort e dai suoi adepti (veri o presunti) si scatenino in attesa di sferrare l’attacco finale. Con conseguente tripudio di effetti speciali visivi e sonori, ma anche con una confezione accurata corredata di musiche d’atmosfera di Nicholas Hooper, scenografie accuratissime di Stuart Craig e soprattutto di una fotografia d’alta qualità di  Bruno Delbonnel.

Harry Potter, nell’affrontare un nuovo anno a Hogwarts dopo la morte di Sirius Black, deve fare i conti con alcuni ostacoli di particolare entità. Prima l’aperta ostilità di Draco Malfoy, prescelto da Voldemort per un’impresa malvagia. Poi l’ambiguità persistente di Severus Piton, che sembra a tutti gli effetti militare nell’esercito sbagliato. Quindi la memoria del professor Lumacorno, cui su espressa richiesta di Albus Silente dovrebbe far rivelare un’importante verità sul Signore Oscuro. Infine i turbamenti dell’età, che colpiscono in parte lui, molto gli affezionati Ron e Hermione e in ordine sparso quasi tutti gli iscritti alla scuola di magia. La storia, come è buona regola in caso di saghe, non si conclude. Chi vuole saperne di più dovrà attendere le due parti di «Harry Potter e i doni della morte».

La crescita anagrafica dei personaggi corrisponde evidentemente a quella degli attori. E qui si può constatare come, messi a confronto con vecchie volpi del calibro di Michael Gambon, Maggie Smith, Jim Broadbent e Alan Rickman, Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint segnino un po’ il passo. Il che, comunque, non impedisce al film di David Yates di destare interesse e suscitare domande. Che, naturalmente, resteranno quasi tutte senza risposta: un po’ per certi tagli operati sul romanzo, un po’ perché i nodi si scioglieranno comunque nel luglio del 2011, sempre che la Warner non sconvolga nuovamente i piani di uscita. Così sapremo finalmente se a prevalere sarà l’intelligenza o la furbizia, se i nodi verranno tutti al pettine o ne resterà qualcuno per strada, se Harry Potter avrà un futuro (storicamente parlando) o potrà essere archiviato in un qualunque dimenticatoio e se le nostre perplessità su un’operazione più mediatica che sostanziale avevano un fondamento o avranno invece bisogno di qualche revisione. L’essenziale è che nessuno si convinca che per risolvere i problemi possa bastare un colpo di una qualunque bacchetta magica.

HARRY POTTER E IL PRINCIPE MEZZOSANGUE(Harry Potter and the Half Blood Prince) di David Yates. Con Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Alan Rickman, Michael Gambon. USA 2009; Fantastico; Colore