LA PIVELLINA / NON È ANCORA DOMANI
DI FRANCESCO MININNI
Siamo tutti d’accordo che il cinema sia il regno della finzione. Ma bisogna anche ricordare che tra i pionieri figurano sia i fratelli Lumière (cose e persone che passano davanti alla macchina da presa) che Georges Méliès (viaggi sulla Luna e fantastici giochi di prestigio). Pertanto si dovrà concludere che finzione non vuol dire necessariamente «finto», ma anche «punto di vista» e «modo di vedere le cose», altrimenti non si potrebbe mai concepire un’arte nella quale possano convivere tranquillamente Steven Spielberg e Abbas Kiarostami. «La pivellina», coproduzione a bassissimo costo italo-austriaca concepita e realizzata da Tizza Covi e Rainer Frimmel (registi entrambi, sceneggiatrice e montatrice la prima, direttore della fotografia il secondo), ripropone con notevole evidenza la possibilità che il cinema, sfrondato di tutti i suoi paludamenti spettacolari, si ponga come obiettivo primario la ricerca di una verità quasi oggettiva che a tratti dà l’impressione di essere quasi più vera del vero. In questo senso molto più vicini a Kiarostami e ai fratelli Dardenne, Frimmel e Covi riescono a colpire, commuovere, toccare, far riflettere su una quantità di problemi senza dare mai l’impressione di entrare direttamente nella storia.
Che storia non è. I personaggi e gli interpreti, infatti, sono una cosa sola. Patrizia è Patti, Walter è Walter, Tairo è Tairo e, soprattutto, Asia è Aia. Aia è una bambina di due anni (che per l’appunto, non avendo ancora appreso le finezze del linguaggio, si chiama Asia ma dice di chiamarsi Aia) che Patti trova su un’altalena in un parco alla periferia di Roma. In giro non c’è nessuno e Patti trova naturale occuparsi della piccola, portarla a casa sua (che poi è una roulotte), nutrirla e rivestirla in attesa che qualcuno venga a reclamarla. Ha un bel dire suo marito Walter che bisogna portarla alla polizia: Patti sa che da lì all’orfanotrofio il passo è breve e non le va. Così Aia diventa parte integrante della piccola famiglia, che a sua volta vive una realtà di parziale emarginazione svolgendo l’attività di artisti da strada. Mentre continuiamo a interrogarci su quale mai possa essere l’avvenire di Aia, la madre fa sapere che tornerà a prenderla. E Patti aspetta.
C’è qualcosa di veramente bello ne «La pivellina»: il fatto che emarginazione, durezza, miseria, solidarietà, amore, calore umano non sono mai etichette applicate al testo con discorsi e ragionamenti. Quel che si deve capire lo si capisce dalle immagini. Il che ci riporta alle origini del cinema quando, senza l’ausilio della parola, tutto doveva essere spiegato in un’inquadratura, in un sorriso o una lacrima, in un abbraccio o uno schiaffo. Qui il film di Frimmel e Covi decolla davvero verso vette imprevedibili di forza espressiva allo stato puro, facendoci persino dimenticare certi eccessi di realismo tendenti verso la maniera. Il punto è che Patrizia Gerardi, Walter Saabel e Tairo Caroli sono se stessi: artisti di strada senza lustrini né paillettes, ma con tutta la forza di una strada vissuta, amata e condivisa. E, sopra ogni altra cosa, è se stessa Asia Crippa: un angelo di due anni che, senza sapere esattamente dove si trovi o cosa stia facendo, illumina il film con sorrisi, con un linguaggio in via di sviluppo, con un’innocenza che sopravanzano di gran lunga ogni possibile cinismo o cattiveria. Forse è vero che Patti e Walter sono diretti discendenti dei barboni di «Miracolo a Milano», alla ricerca di un paese nel quale buongiorno voglia dire veramente buongiorno. Di certo sono persone di enorme dignità che, senza voler dare lezioni a nessuno, riescono persino ad insegnarci come stare al mondo: con quel po’ di gioia che la condizione permette, con una incrollabile speranza in un domani che, come dice il sottotitolo, «non è ancora», con la porta aperta a qualche fratellino più piccolo e con l’offerta più che generosa, diremmo quasi totale, di dividere con il prossimo il poco che c’è. Tutto questo, naturalmente, alla faccia di ogni manovra economica e di ogni taglio alla cultura: per come la vediamo noi, ci saranno sempre un basso budget, una testa pensante e un cuore che batte a fare la differenza.