AMERICAN LIFE

DI FRANCESCO MININNI

Ha fatto bene Sam Mendes a lasciare da parte per una volta matrici letterarie e tentare un viaggio geografico e interiore alla ricerca di un posto chiamato America e di persone chiamate gente. Così, lui che a Londra dirige l’Old Vic e che nel teatro trova la massima realizzazione, ha dovuto per forza di cose adattare il proprio stile sovente ridondante a una vicenda studiatissima e attentamente organizzata in sceneggiatura da Dave Eggers e Vendela Vida, ma al tempo stesso molto lontana da pagine scritte e archivi letterari nel tentativo di fare la corsa sulla vita vera. Forse per questo motivo la distribuzione italiana ha ritenuto una buona idea snaturare il titolo originale «Away We Go» («Andiamo via», o «Si parte») in «American Life», come all’epoca «Short Cuts» di Robert Altman fu trasformato in un didascalico «America oggi». Anche questa volta, infatti, l’idea di viaggio e di precarietà che poteva trasmettere «Away We Go» diventa un’ipotesi di trattato sociale che in realtà potrebbe anche essere il nome di un rotocalco o di una trasmissione televisiva. Chiamiamolo pure «American Life». Teniamo ben presente, però, che il progetto esiste fin dai tempi di «American Beauty» (1999), il cui successo ha evidentemente costretto Mendes a differire questo piccolo progetto per rispondere al richiamo di sirene miliardarie come «Era mio padre», «Jarhead» e «Revolutionary Road».

Burt e Verona, poco più che trentenni, si amano e aspettano un figlio. Verona, orfana di entrambi i genitori, sa che non lascerà mai il suo uomo e che con tutta probabilità invecchieranno insieme. Ciò nonostante, a quanto pare per motivi dovuti all’assenza dei genitori, non intende sposarsi. Messi di fronte alle responsabilità derivanti dall’arrivo di un figlio, i due, che vivono nel Colorado, cominciano a pensare a quale possa essere il posto migliore per farlo nascere. E stranamente, senza pensare a un posto in quanto tale, ragionano in base alle persone che incontreranno. Così, da Phoenix a Tucson, da Madison a Montreal a Miami, andranno incontro a una lunga serie di delusioni che, su due persone più fragili di loro, potrebbero avere effetti devastanti. Prima i genitori di Burt che, candidamente, annunciano un viaggio ad Anversa con permanenza di due anni. Poi una ex-collega di Verona che sembra sempre sul punto di divorziare e non mostra alcun affetto né per il marito né per i due figli. Poi un’amica di vecchia data che si è stranamente convinta di possedere la verità assoluta sull’amore e cammina con il marito sul filo della follia. Quindi due amici con famiglia allargata ma profondamente segnati dall’impossibilità di avere un figlio loro. Infine il fratello di Burt, abbandonato dalla moglie e preoccupato dai problemi di crescita della figlia. E alla fine Burt e Verona capiranno che, da qualche parte nel mondo, esiste un posto chiamato casa.

Lo stile di Mendes, per una volta, non è né ampolloso né invadente, ma strettamente funzionale alla vicenda. Le diverse tappe del viaggio degli innamorati svelano progressivamente un mondo che, dietro l’apparenza di incrollabili certezze, nasconde assoluta insicurezza, presunzione, mancanza di senso comune e, alla base di tutto, angoscia di vivere. Di fronte a questa terapia d’urto, Burt e Verona si scopriranno uniti e responsabili: in quel posto chiamato casa (che poi è la casa dei genitori di lei) si renderanno conto che c’è proprio tutto ciò di cui hanno bisogno. Amore. Davvero, non è poco per i tempi che corrono, soprattutto nel momento in cui ci si rende conto che i paradossi e l’agro umorismo di Mendes non sono altro che l’allucinante rappresentazione di una realtà autentica che, come in «American Beauty», solo un regista inglese avrebbe potuto cogliere da acuto osservatore esterno. Fingendo di ripercorrere i luoghi comuni (tipo «Cosa siamo diventati?») dei discendenti di «Easy Rider», «Cinque pezzi facili», «Punto zero» e «Woodstock», Mendes ci racconta un paese che, dietro lo status di big country, continua a nascondere una disperata frustrazione da impotenza nella interminabile ricerca di se stesso.

AMERICAN LIFE (Away We Go) di Sam Mendes.Con John Krasinski, Maya Rudolph, Catherine O’Hara, Jeff Daniels, Maggie Gyllenhaal, Carmen Ejogo. USA/GB 2009; Commedia; Colore