UN GELIDO INVERNO

DI FRANCESCO MININNI

Nel regno della commedia, tuttora prioritario nel cinema americano, anche quando si presentano elementi drammatici o angoscianti, aleggia una brezza che sembra sussurrare molto frequentemente che comunque le cose non possono andare male. Nella testa e nel cuore di qualche indipendente, invece, il regno della commedia è davvero molto, molto lontano. Fa impressione, nel generale dilagare del buonismo obamiano, un film come «Un gelido inverno» di Debra Granik, vincitore del gran premio della giuria al Sundance e del Torino Film Festival.

Fa impressione perché, con assoluta naturalezza e senza forzature, racconta una storia del Missouri concludendo che no, non va tutto bene. Che esiste ancora un’umanità marginale che, diversamente dai barboni delle metropoli, sembra governata da leggi proprie nelle quali le «altre» leggi non hanno diritto di cittadinanza. Che ci sono ragazzi costretti a crescere troppo in fretta e a dimenticare troppo presto la dimensione del gioco. Che certi legami familiari non implicano necessariamente solidarietà e conforto. Che il freddo dell’inverno non è certamente il più duro da sopportare, non quanto il freddo che può abitare in un cuore.

Ree Dolly, diciassettenne, deve accudire la madre malata e i due fratelli più piccoli. Suo padre Jessup è scomparso. Ma, dovendo sostenere un processo, ha dato come garanzia per la cauzione la casa e il terreno su cui sorge. Quindi, se non si presenterà al processo, Ree e i suoi familiari perderanno il poco che hanno. Ree decide, da ragazza decisa e testarda qual è, di ritrovare Jessup. Ma lo zio Teardrop non l’aiuta e la gente dei dintorni, che siano parenti o conoscenti, la ostacola apertamente. E Ree continua caparbiamente a chiedere, a curiosare, a rischiare in prima persona, finché qualcuno non si deciderà a mostrarle dove si trova suo padre…

Le montagne del Missouri, che una volta videro il prosperare dei distillatori di whisky clandestini, sono diventate il regno dei raffinatori di cocaina. Non è vero che l’America campestre è sempre portatrice di valori sani: c’è ancora violenza, cinismo, cattiveria, tutte cose contagiose che possono creare ambienti chiusi, una sorta di congregazione all’interno della quale è opportuno rispettare le gerarchie e soprattutto non fare domande.

In fondo, questa ragazzina che un po’ per amore e un po’ per motivi eminentemente pratici va alla ricerca del padre non è molto diversa da quelli che le sbarrano la strada. Anzi, siccome tutto fa pensare che Ree non si muoverà dal paese, è altamente probabile che entri a far parte della cosiddetta catena alimentare. Jennifer Lawrence interpreta con sicurezza e totale credibilità. Debra Granik dirige con vigore senza concedersi distrazioni di ordine sentimentale: in quel tratto del Missouri non c’è spazio per lamentazioni, nostalgie o ripensamenti.

Così «Un gelido inverno» diventa lucida testimonianza di un malessere che esiste, ma non finisce mai sulle prime pagine dei giornali o nei notiziari dei network. Sembra, per assurdo, che la zona geografica rappresentata manchi di connotazioni temporali che la identifichino immediatamente come contemporanea. Su tutto risaltano il carattere della ragazza, l’ineluttabilità degli eventi e determinate caratteristiche ambientali, dall’umidità al buio, che non aiutano a muoversi con sicurezza e fiducia.

Insomma, la Granik ci fa sapere senza esagerazioni né cadute melodrammatiche che in America c’è ancora qualche posto dove sembra che il sole del buon Dio non dia i suoi raggi. E che, a differenza di quanto qualcuno pensa, non va, non può andare tutto bene. Come dire che è giusto essere ottimisti, ma è anche perfettamente inutile se non si fa qualcosa per aggiustare le cose. Di suo, Debra Granik ci mette uno stile scarno ed essenziale che si affida molto alle immagini e pochissimo alle parole, che in fondo è l’origine del cinema, quando si capivano più cose da uno sguardo che da dieci didascalie. Un film su cui meditare attentamente: di certo non è propaganda governativa.

UN GELIDO INVERNO (Winter’s Bone) di Debra Granik. Con Jennifer Lawrence, John Hawkes, Kevin Breznahan, Dale Dickey, Garret Dillahunt. Usa 2010; Drammatico; Colore