ANGÈLE E TONY

DI FRANCESCO MININNI

Evidentemente è vero che nella realtà c’è qualcosa di inafferrabile che nessun realismo potrà mai cogliere appieno. Ma è anche vero, di contro, che la medesima realtà esaminata e rappresentata da soggetti diversi può facilmente scomporsi in molte diverse realtà che corrispondono ai punti di vista di chi osserva e trasmette. Alix Delaporte, per esempio, ha scelto di rappresentare «Angèle e Tony» con semplicità mista a stupore: ovvero, nel suo film la semplicità della narrazione non esclude lo stupore di fronte a personaggi e situazioni che non sempre possono essere osservati con imparziale obiettività. Quindi questa sua sorta di allontanamento dalla semplice presa d’atto di una situazione né semplice né interamente decifrabile con parametri tradizionali corrisponde evidentemente a una scelta di stile. «Angèle e Tony» non avrebbe potuto essere né un dramma a tinte fosche né una commedia bizzarra: gli torna molto più naturale la veste del dramma bizzarro senza escludere pennellate di commedia a tinte fosche. Di certo Angèle, Tony e gli altri personaggi del film sono creature di fantasia, ma è altrettanto certo che da qualche parte esistono. E non bisogna andarli a cercare nei quartieri alti.

Angèle è giovane, ma ha già un passato molto vissuto. Ha un figlio che vive coi nonni, è stata in carcere per aver provocato un incidente nel quale è morto il padre del bambino, non ha alcun tipo di stabilità perché non la cerca. Però sa che se vuole avere una speranza di riavere il figlio, deve regolarizzare la propria esistenza. Niente di più naturale, per lei, che rispondere a un annuncio di Tony, un pescatore che ha perso il padre in mare, ha una madre dal carattere molto forte e un fratello con cui parla a malapena. È evidente che, se tra Angèle e Tony ci sarà mai un rapporto, prima di potersi regolarizzare dovrà passare attraverso ogni tipo di difficoltà. Quelle difficoltà che di solito incontra chi fatica ad avere contatti con il resto del mondo.

Il realismo scabro e durissimo della Delaporte ha probabilmente qualche debito espressivo con il cinema dei fratelli Dardenne, cui lo accomuna anche la testarda, costante, disperata ricerca di una via di uscita dal pessimismo più cupo. Ma, a tratti, emergono anche la delicata leggerezza di Rohmer e i furori proletari di Guediguian (in particolare di «Marius e Jeannette»). Ciò che rende il film della Delaporte costruttivo e lontano da fatalismi di comodo è l’ostinata ricerca di una via d’uscita che, nel momento in cui si presenta, sarà tutt’altro che consolatoria e pretestuosa. Angèle e Tony non sono fatti per un lieto fine tradizionale, ma piuttosto per un piccolo spiraglio sul quale ci sarà molto da lavorare per renderlo simile a una porta aperta. L’elemento indispensabile in un film come questo è la presenza di attori giusti, né troppo impostati né troppo autoconsapevoli.

Alix Delaporte ha avuto buon fiuto nello scegliere Clotilde Hesme, una ragazza di strada talmente perfetta da colpire al cuore, e Grégory Gadebois, un pescatore dal gran cuore ma al tempo stesso goffo e abituato dall’esistenza a giocare sempre in difesa. Tra i due si viene a creare una sorta di alchimia che, senza lasciar lontanamente presagire dove la storia andrà a cadere, mantiene altissimo il livello di attenzione. Alla fine non si può dire che «Angèle e Tony» assomigli realmente a qualcosa di già visto. Sicuramente appartiene al numero di quei film che rendono indispensabile per lo spettatore avere la pazienza di arrivare proprio alla fine per avere un quadro completo della situazione e per rendersi conto che, se esiste, la speranza non è né una luce al neon né una banda musicale. È un lavoro interiore che richiede tempo e costanza.

ANGÈLE E TONY (Angèle et Tony) di Alix Delaporte. Con Clotilde Hesme, Grégory Gadebois, Evelyne Didi, Jérome Huguet. FRANCIA 2010; Drammatico; Colore