MIDNIGHT IN PARIS

DI FRANCESCO MININNI

Più o meno quarant’anni fa Woody Allen scrisse un breve racconto umoristico intitolato «Memorie degli anni Venti» nel quale immaginava se stesso boxare con Ernest Hemingway, intrattenersi con Gertrude Stein ed incontrare Picasso, Salvador Dalì, Man Ray, Francis Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda. Tutte cose che ritroviamo puntualmente in «Midnight in Paris», dove il protagonista ha la faccia di Owen Wilson solo perché anagraficamente a Woody non sarebbe stato possibile interpretarlo. E dunque la storia del film parte da lontano: dall’amore sconfinato per un’epoca ricchissima di fermenti culturali, molto più che al giorno d’oggi, nella quale l’autore ha indubbiamente sognato di vivere. Il sogno, naturalmente, non rimane chiuso in se stesso: una volta appurato che in ogni epoca c’è qualcuno che considera più bella un’epoca precedente, Woody Allen conclude che (anche per evidenti motivi pratici) è opportuno accontentarsi di vivere nella propria e magari dare occasionalmente prove di cultura e raffinatezza artistica che permettano al soggetto di staccarsi nettamente dalla mediocrità generale. Detto così sembra schematico e prevedibile. In realtà «Midnight in Paris» è un film ricco di sfumature e raffinatezze che, imprevedibilmente, mostrano un Allen meno nevrotizzato, ansioso e autocommiserativo del solito, di modo che finalmente si possono mettere da parte i nodi psicanalitici della sua esistenza e godersi in santa pace un racconto inventivo e deliziosamente sorridente che chiede soltanto di tributare un riconoscimento popolare al genio che lo ha partorito. Cosa che, francamente, facciamo volentieri: quando Allen racconta per il piacere di raccontare e non smania per mettere in piazza le proprie problematiche umane, psicologiche, sessuali, esistenziali, è più difficile che si abbia l’impressione, come è accaduto di recente, di assistere allo stesso film rivestito di panni diversi.

A Parigi con la fidanzata Inez e i futuri suoceri, Gil sta cercando faticosamente di liberarsi del ruolo di sceneggiatore di successo per misurarsi con il suo primo romanzo. Dal momento che né Inez né altri sembrano convinti del suo talento e quindi propensi a incoraggiarlo, Gil si rifugia nel sogno. Immagina infatti che, scoccata la mezzanotte, un taxi su cui viaggiano Francis Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda si fermi e lo inviti a salire per andare a una festa. Informato che la festa è in onore di Jean Cocteau, Gil continua a stupirsi quando capisce che è proprio Cole Porter a suonare al pianoforte. Poi l’incontro con Hemingway, con Gertrude Stein, con Luis Buñuel, con Salvador Dalì, con Man Ray: gli anni Venti gli si dischiudono in tutto il loro fermento. Di questo, naturalmente, Gil non può parlare con nessuno: non gli crederebbero e non potrebbero prendervi parte. Dopo una capatina nella Belle Epoque con la bella Adriana, però, Gil capisce che il suo posto è nell’oggi. Senza Inez, naturalmente, e facendo di Parigi la sua residenza.

Quando non eccede nel cospargere i suoi sogni di personaggi celebri, Woody Allen dimostra realmente una grazia ed un equilibrio impeccabili. E poi, noi li chiamiamo sogni, ma niente vieta di pensare che in un posto così possa realmente accadere una magia che risveglia i fantasmi di un passato che culturalmente non è passato per niente. Sembra proprio che Woody Allen, consapevole della mediocrità corrente e deluso dalla generale inerzia e mancanza anche di semplice curiosità, lanci sorridendo una sorta di grido d’allarme incitando al risveglio, all’allontanamento dell’abulia, a quello che a tutti gli effetti potrebbe trasformarsi in un nuovo Rinascimento. Come? Innanzitutto ricordandoci da dove veniamo (si chiama tradizione) e poi utilizzando le radici ritrovate per piantare nuovi alberi che cresceranno in futuro. E la domanda è: come si può dargli torto?

Niente è più bello che sognare a ParigiMIDNIGHT IN PARIS (Id.)di Woody Allen. Con Owen Wilson, Rachel McAdams, Marion Cotillard, Michael Sheen, Kathy Bates, Léa Seydoux, Adrien Brody. USA/F 2011; Commedia; Colore