SETTE OPERE DI MISERICORDIA

DI FRANCESCO MININNI

Le sette opere di misericordia che scandiscono, annunziate da cartelli sovrapposti alle immagini, il progredire dell’omonimo film di Gianluca e Massimiliano De Serio sono le seguenti: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Ma le didascalie non servono né a dividere la storia in capitoli né a indirizzarla verso una conclusione che possa a tutti gli effetti definirsi positiva. Chi ha ben presente il cinema dei Dardenne, ritroverà una scarna radiografia di malesseri contemporanei che, in qualche modo, confluiranno verso un ritrovamento d’identità e di appartenenza. Si capirà così che le didascalie, che hanno evidentemente una funzione indicativa, possono anticipare soluzioni tragiche, drammatiche e anche beffardamente ironiche. Ma soprattutto ci troveremo di fronte a un disagio profondo: quello di andare avanti nel racconto ricevendo dagli autori il minimo indispensabile di informazioni, di quelle informazioni che solitamente consideriamo prioritarie e che in questo caso, dopo opportuna riflessione, si rivelano invece accessorie se non superflue. I fratelli (gemelli) De Serio, torinesi, vengono dal documentario e si vede. Tutto girato direttamente sui luoghi dell’azione, il film restituisce una periferia squallida e fredda nella quale si muovono personaggi in cerca di qualcosa: di se stessi, del prossimo, di una soluzione ai problemi, di un’illusoria via larga che proprio non esiste.

Antonio è un vecchio gravemente ammalato, Luminita una moldava entrata in giri pericolosi. Le loro strade si incrociano in modo tanto semplice quanto imprevedibile: lui si reca in ospedale per controlli periodici, lei ruba agli ammalati. Ma c’è di più: Luminita ha con sé un bambino in fasce ed è alla ricerca di una casa che possa servire come base. Per cosa? Evidentemente si tratta di un rapimento e dell’attesa di un riscatto. La casa in questione è proprio quella di Antonio. Ma tra i due, dopo un iniziale durissimo attrito, si instaura un particolare rapporto di disperata solidarietà.

I De Serio non fanno sconti alla realtà. Anche se occasionalmente si lasciano tentare da qualche estetismo periferico e da qualche passaggio più intellettuale che spontaneo, riescono a tutti gli effetti a coinvolgere e ad appassionare senza alcuna concessione allo spettacolo. Il film parla inizialmente di disperazione: quella di Antonio, che sa di essere sul rettilineo d’arrivo, e quella di Luminita, che deve rendere conto a troppe persone per poter anche lontanamente prendere in considerazione l’idea di serenità. Ma piano piano le loro disperazioni trovano uno sbocco reciproco che porta se non altro a un ritrovamento di umana dignità. Ma come un vecchio moribondo e una giovane sbandata possano arrivare a una convergenza di umanità è da vedere, non da raccontare. Potremo così capire chi sia misericordioso e come questa misericordia sia messa in atto.

Di sicuro ne esce un film che assomiglia a pochissimo di già visto e che fa il possibile per mantenere un rigore narrativo ed espressivo lontanamente assimilabile a quelli di Bresson, di Kieslowski e dei Dardenne. E se Roberto Herlitzka è un Antonio in disfacimento forse prevedibile, la vera rivelazione è Olimpia Melinte, una Luminita prima durissima, poi attonita, infine partecipe. Quale possa essere la sua ultima destinazione sarà ogni singolo spettatore a deciderlo servendosi dei pochi indizi concessi dagli autori. «Sette opere di misericordia» è un film a margine del mercato che di sicuro non avrà confortante esito commerciale. Ma rivendichiamo con forza il suo diritto di esistere.

SETTE OPERE DI MISERICORDIAdi Gianluca e Massimiliano De Serio. Con Roberto Herlitzka, Olimpia Melinte, Ignazio Oliva, Stefano Cassetti.ITALIA 2011; Drammatico; Colore