HUGO CABRET

DI FRANCESCO MININNI

Se sapete chi è Georges Méliès, siete sulla buona strada per godere appieno del film di Martin Scorsese «Hugo Cabret». Se non lo sapete, informatevi prima di vederlo o molte cose vi rimarranno distanti. C’è da dire, però, che se non lo sapete non sapete neppure da dove viene gran parte della magia del cinema di ieri, di oggi e probabilmente anche di domani. Méliès, mentre i fratelli Lumière filmavano la realtà tale e quale, scorrazzava tra la prestidigitazione, gli effetti speciali, i viaggi al Polo Nord o nella Luna con una fantasia che ancora oggi lascia stupefatti. E ancora oggi il cinema, grazie a loro, può essere ugualmente esercizio di realtà o di fantasia. Qui subentra Martin Scorsese. Un autore indubbiamente legatissimo al realismo, capace come pochi altri di filmare le strade, spesso cantore delle gesta di disadattati, gangster o balordi. Ma anche un autore innamorato del cinema, storico ai più alti livelli e impegnatissimo nella conservazione dell’opera d’arte più soggetta al deterioramento e alla perdita. In questo senso «Hugo Cabret» non rappresenta affatto un’eccezione nella sua carriera. In essa il sogno del cinema diventa realtà e la storia e l’invenzione si affiancano per comporre un regalo bellissimo per chiunque ami la settima arte.

È storia ufficiale che Georges Méliès, dopo aver ottenuto grandissimo successo con le sue invenzioni, pagò duramente l’evoluzione dei tempi, le maggiori pretese del pubblico e la sua scarsa dimestichezza con gli affari, riducendosi a vendere giocattoli alla stazione di Montparnasse. È invenzione che un orfano di nome Hugo Cabret, domiciliato clandestino nei sotterranei e nei mille passaggi segreti della medesima stazione, possegga un automa lasciatogli dal padre, riesca a ripararlo e ad attivarlo grazie a una chiave di proprietà della figlioccia di Méliès e, con l’aiuto di uno storico del cinema, sia in grado di recuperare e proiettare pubblicamente i più celebri film di papà Georges riportandolo all’attenzione che merita.

È evidente che il libro illustrato scritto da Bryan Selznick abbia solleticato non tanto la fantasia, quanto la passione sconfinata di Scorsese, che di certo vi ha trovato cibo per la propria fame d’artista. E’ meno evidente, perché comunque lontano dai suoi abituali registri espressivi, come Scorsese sia in effetti riuscito a comporre in forma di favola una meravigliosa dichiarazione d’amore al cinema, alla sua storia, alle sue radici, al suo patrimonio culturale, a tutto ciò che è in grado di parlare agli addetti ai lavori e ai semplici appassionati, persino agli avventori occasionali. «Hugo Cabret», girato in un funzionale 3D con una macchina da presa capace di pedinare i personaggi come di lanciarsi improvvisamente al loro frenetico inseguimento, ricorda «Fuori orario» per certe frenetiche accelerazioni, ma null’altro per quanto riguarda passione, poesia e dedizione. In effetti è proprio la macchina da presa a dominare il film, perché gli attori si prestano volentieri a farsi da parte per lasciar passare la storia. I giovanissimi Asa Butterfield (Hugo) e Chloë Moretz (Isabelle), che hanno a tutti gli effetti il ruolo di angeli custodi e che quindi possono essere assimilati alla vocazione conservativa di Scorsese, rendono l’idea dello stupore, dell’innocenza e della caparbietà, ma non possono tenere il passo con un Ben Kingsley che passa dalla rassegnazione alla ritrovata dignità con la semplicità che è solo dei grandi attori. In un ruolo potenzialmente sgradevole ma in fin dei conti assimilabile ai comici dello slapstick fa una certa figura persino Sacha Baron Cohen (ovverosia Borat), mentre sullo sfondo il libraio di Christopher Lee occhieggia tra il minaccioso e il benevolo. A vincere su tutto, però, è il cinema, un giocattolo che funziona da più di un secolo e che ogni tanto farebbe bene a ricordarsi da dove viene e a chi deve tanto.

HUGO CABRET (Id.)di Martin Scorsese.Con Asa Butterfield, Chloë Moretz, Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen, Jude Law, Christopher Lee. USA 2011; Drammatico; Colore