WAR HORSE

DI FRANCESCO MININNI

E’ inutile che un periodico di attualità cinematografica, parlando di «War Horse» di Steven Spielberg, lanci un referendum tra i lettori chiamati a scegliere tra «capolavoro» e «boiata pazzesca». Inutile per diversi motivi. Innanzitutto tra il capolavoro e la boiata ci sono tutta una serie di categorie intermedie delle quali non si può non tener conto. In secondo luogo il tutto è strettamente soggettivo e non può assolutamente creare una statistica. In terzo luogo «War Horse» è un onesto film di sentimenti che, tra retorica patriottica e luminosi valori familiari, mostra fin troppo palesemente di voler fare la corsa sui classici di John Ford.

Insomma, siamo al cospetto di una semplice operazione nostalgia che non chiede né di sfondare porte che nessuno ha mai aperto né di dire parole definitive su qualsivoglia argomento né di invocare originalità e genio. Una volta che avremo messo a fuoco l’elemento più chiarificatore, e cioè che gli unici personaggi ad avere qualche spessore umano vanno ricercati nei nuclei familiari e non negli eserciti, capiremo anche quale fosse l’intendimento di Spielberg: raccontare un romanzone come quelli di una volta, evidenziando valori spesso tralasciati tra le righe o affatto ignorati, magnificando le virtù e la forza di resistenza di un magnifico cavallo, trasportando in scenari anglosassoni (il film è inizialmente ambientato nel Devon) il più «sano» e magniloquente patriottismo americano. Qui subentra John Ford che, pur essendo irlandese, aveva fatto proprie tutte le suddette virtù trasponendole in un’epica meravigliosa che dal West alla Depressione alla seconda guerra mondiale ed oltre ci aveva fatto conoscere l’America dei prepotenti e della povera gente, dei coraggiosi e dei vigliacchi, dei politicanti e degli idealisti con una forza espressiva che allontanava a priori il concetto di verità o menzogna mettendo in campo il (semplice?) concetto di cinema.

Il cavallo si chiama Joey, il ragazzo che lo doma e lo alleva si chiama Albert. A causa delle gravi difficoltà economiche e dell’incombere della guerra, la famiglia è costretta a vendere l’animale all’esercito. Così Albert andrà al fronte e Joey, passando di mano in mano e superando le prove più difficili, militerà prima nelle file inglesi, poi in quelle tedesche. Non è difficile immaginare che i due si ritroveranno a due passi dal campo di battaglia e che, al di là di ogni possibile impedimento, riprenderanno insieme la strada di casa, dove papà Ted e mamma Rose aspettano sotto un cielo che geograficamente è del Devon, ma cinematograficamente ricorda in tutto e per tutto quello de «I cavalieri del Nord Ovest» sotto il quale, nella Monument Valley, il capitano Brittles (John Wayne) salutava la moglie e le figlie nel piccolo cimitero immerso in un rosso bellissimo e innaturale.

Ora, è evidente che Steven Spielberg non sia John Ford. Gli mancano le radici culturali e il cinico sentimentalismo del vecchio ruvido e saggio. Così «War Horse», che allinea episodi drammatici ad altri di rurale pacificazione interiore, può avere l’apparenza di un film del maestro, ma si deve accontentare della sostanza di un allievo dotato e distratto. Non riuscendo, a tutti gli effetti, a raccontare la storia dal punto di vista di un cavallo, Spielberg si limita a raccontare la storia delle passioni e dei sentimenti delle persone che vengono a contatto con il quadrupede, ottenendo un film di lunghezza superiore alla media, non sempre aiutato dal ritmo, retorico quanto basta per accontentare un pubblico prevalentemente femminile ma non abbastanza avventuroso per allettare quello maschile.

È questo un altro motivo per confermare l’inutilità del buffo referendum: è altamente probabile che non sarà raggiunto il quorum dei votanti. Resta il fatto che la perizia tecnica di Spielberg gli permette comunque di padroneggiare anche una materia a rischio come quella di «War Horse». È un fatto innegabile che però non basta a far considerare il film tra i suoi migliori.

WAR HORSE (Id.) di Steven Spielberg. Con Jeremy Irvine, Peter Mullan, Emily Watson, David Thewlis, Niels Arestrup. USA 2011; Drammatico; Colore