COSA PIOVE DAL CIELO?

DI FRANCESCO MININNI

Vincitore a sorpresa dell’ultimo Festival di Roma, «Cosa piove dal cielo?» non ambisce ad essere un grande film, né un campione di originalità e neanche un modello di rigore ed equilibrio. Tuttavia fa capire quasi subito che la sua ambizione è quella della semplicità e del sentimento, intendendo con questo non uno strumento ricattatorio nei confronti del pubblico facilmente emozionabile, ma piuttosto una risposta diretta e in alcuni passaggi anche istintiva a tanti intellettualismi e tante circonvoluzioni del pensare contemporaneo. In questo senso il film di Sebastián Boresztein rappresenta un episodio, oggi non molto frequente, di commedia che invece di cercare il facile effetto e la grassa risata preferisce sfumare nel sorriso e lasciare ad ogni spettatore il compito di trarre dalla vicenda quello che liberamente vorrà trovarci. Se poi questo non dovesse bastare, ognuno andrà per la propria strada senza rancore.

Roberto è un ferramenta cinquantenne la cui esistenza è scandita da una lunga serie di incrollabili abitudini. Ogni sera spegna le luci alle undici. Ogni sabato porta i fiori sulla tomba della madre, morta nel darlo alla luce. Ogni giorno legge una quantità di giornali e ritaglia per incollare su album tutte quelle notizie bizzarre e assurde che gli confermano l’illogicità dell’esistenza. Conta persino le viti nelle scatole per vedere se davvero ce ne sono quante scritto sulla confezione. E Marì, che lo ama, aspetta soltanto che lui le dia una possibilità. Tutto questo sarà scardinato con semplicità e senza forzature da Jun, un giovane cinese alla ricerca dello zio, che parla solo la propria lingua e che Roberto decide in un impeto di altruismo di aiutare ad orientarsi nei meandri di un paese straniero.

È evidente fin dall’inizio che il percorso di Roberto è destinato a un cambiamento radicale che equivale all’apertura del proprio cuore a gente che, in un modo o nell’altro, ha bisogno di lui. Ed è via via evidente che la facilità con cui sono risolte alcune situazioni che nella realtà avrebbero avuto esito ben diverso è niente più che una blanda forzatura per dimostrare come anche le barriere più insormontabili abbiano punti deboli sui quali si può lavorare per ottenere un risultato. Appare chiaro che Boresztein dissemina il film di elementi desunti da opere altrui non per risparmiarsi la fatica di inventare, ma perché li trova utili al raggiungimento del proprio scopo: la caduta della mucca dal cielo su una barca su cui si trovano due innamorati è un fatto di cronaca già immortalato nel film di Khudojanazarov «Luna Papa»; gli animaletti in vetro che Roberto raccoglie in una vetrina in memoria della madre evocano il dramma di Tennessee Williams «Lo zoo di vetro» la raccolta di notizie assurde e bizzarre era lo spunto di partenza di «Magnolia» di Paul Thomas Anderson; la coppia improbabile formata da Roberto e Jun è l’ultima di una lunga serie; il personaggio di Roberto, in particolare, sembra uscito da una commedia di Molière a scelta tra «L’avaro» e «Il malato immaginario».

«Cosa piove dal cielo?» (titolo originale «Un racconto cinese») ha il merito di convogliare tutto questo nella semplice descrizione di come si possa riscaldare un cuore da lungo tempo infreddolito e apparentemente destinato a una triste solitudine. Un semplice obiettivo da raggiungere senza scadere nella grossolanità, nell’archeologia o nel declamatorio. In questo bisogna dire che Boresztein è stato coerente e abile, riuscendo con poco a riempire un film che, alla fine, ha il merito di lasciare dentro qualcosa. Merito anche degli attori protagonisti, il veterano Ricardo Darin («Il segreto dei suoi occhi») e lo sconosciuto Ignacio Huang, che riescono a far capire in modo abbastanza diretto quali siano le regole da seguire per non finire estromessi dalla civile convivenza e dalla semplice relazionalità.

COSA PIOVE DAL CIELO? (Un cuento chino) di Sebastián Boresztein. Con Ricardo Darin, Muriel Santa Ana, Ignacio Huang, Enric Cambray, Javier Pinto. ARGENTINA/SPAGNA 2012; Commedia; Colore