SILENT SOULS

DI FRANCESCO MININNI

Ci sono voluti due anni perché «Silent Souls» di Aleksei Fedorchenko, premiato a Venezia per la migliore fotografia e con il «Premio Taddei» oltre al riconoscimento della stampa internazionale, arrivasse nelle nostre sale. Fuori stagione, con una distribuzione limitata e senza particolare risonanza. Va bene così, perché comunque «Silent Souls» è un film per pochi. Innanzitutto per la sua provenienza da una cinematografia, quella russa, che dopo aver vissuto periodicamente stagioni gloriose, si è rinchiusa nei propri confini risentendo in maniera dolorosa degli insanabili conflitti politici e sociali interni. In secondo luogo perché si tratta di un film altamente poetico e quindi fatto di una materia che non sembra andare tanto per la maggiore. Infine perché, obiettivamente, è un film complesso e, a dispetto della breve durata, ricchissimo di segni da interpretare e di apparenti contraddizioni da allineare. Fedorchenko non è Tarkovskij, ma divide col maestro l’interiorità e l’attenzione per le radici, che da un punto di vista spettacolare porta poca acqua al mulino dello show business. Di certo «Silent Souls» è uno dei film più personali e complessi che ci sia capitato di vedere negli ultimi anni. Per questo ed altri motivi vorremmo dividere con voi le emozioni che ci ha suscitato.

Aist lavora in una cartiera ma, nel tempo libero, scrive e si accontenta della compagnia di due zigoli (gli ovsyanki, il titolo originale del film), uccellini molto comuni in Russia. Il suo capo, Miron, gli chiede di aiutarlo a seppellire la moglie Tanya e lui, senza esitare, accetta. Miron e Aist appartengono alla tribù (ormai estinta) dei Merja, ugro-finnici del Lago Nero, che non concepiscono la morte come fine di qualcosa, ma come un semplice passaggio a uno stadio diverso dell’esistenza. Per questo, invece di seppellire i loro cari, li cremano su una catasta di legna e spargono le loro ceneri nell’acqua di un lago sacro. È evidente che l’operazione richiederà almeno un paio di giorni, durante i quali tra i due uomini si instaurerà un particolare rapporto di sincerità e collaborazione che porterà alla più logica delle conclusioni.

Tratto da una novella di Aist Sergeyev, «Silent Souls» necessita di un’attenta comprensione per far sì che certe contraddizioni si inquadrino in una logica etnica nella quale risulteranno invece perfettamente comprensibili. La vita dei Merja, attentissima alle tradizioni, prevede che vita, morte e passioni siano parte di un tutt’uno, un ciclo continuo che non conosce confini. Detto questo, la sincerità terragnola di Miron e il tacito assenso di Aist diventano una parte normalissima del ciclo vitale, nel quale rimpiangere la carnalità della consorte e la forza del desiderio, nonché la volontà di condividere questo con l’amico che quella stessa donna aveva desiderata senza mai poterla avere, non sono né sfacciataggine né disperazione né rancore né gelosia: sono soltanto il naturale fluire del fiume dell’esistenza. E il fatto che tutta questa storia sia raccontata da Aist servendosi della macchina per scrivere gettata dal padre in fondo al Volga e da lui ritrovata dopo l’incidente stradale che è causa dell’annegamento dei due amici, non è né un paradosso né una trovata surreale. È la forza di una tradizione che a quanto pare conta più del senso comune e che riesce a trasformare in spiritualità praticamente tutto: la vita, la morte, il sesso, l’amore, la passione, il ricordo, la gioia e il dolore. Fedorchenko racconta questa storia, che si intuisce proprio sua, come un gioielliere che mescola elementi e sostanze per ottenere la creazione più bella. O come Boriška che, sotto gli occhi di Andrej Rublëv, fonde la sua prima campana senza sapere come, sorretto da una disperazione troppo forte per non essere chiamata fede. E il fatto che ci voglia una tribù ugro-finnica dedita a pratiche anche pagane per ricordarcelo, vuol dire che è arrivato il momento di guardarsi dentro e porsi qualche domanda cui gli scienziati non potranno rispondere.

SILENT SOULS (Ovsyanki) di Aleksei Fedorchenko. Con Igor Sergeyev, Yuriy Tsurilo, Viktor Sukhorukov, Yuliya Auga. RUSSIA 2010; Drammatico; Colore