«Non arrendiamoci alla legalizzazione delle droghe leggere»

Qualche giorno fa, lo scrittore Roberto Saviano ha esposto in televisione le sue teorie a favore della legalizzazione della cannabis. Vado dritto al punto: reputo la legalizzazione una forma di resa di fronte ad un problema che non si riesce a dominare. L’ipotesi antiproibizionista non sembra reggere ad un esame più approfondito del problema. Non è vero che la legalizzazione eliminerebbe il mercato clandestino perché l’esistenza di un mercato legale della droga comporta delle regole che devono essere scritte: mercato legale significa che la droga non può essere venduta da chiunque, non può essere venduta in qualunque posto e a chiunque. Nessuna legalizzazione può dare luogo ad un mercato senza regole. Il mercato legale della droga, secondo Paolo Borsellino, spingerebbe gli spacciatori clandestini ad indirizzare la loro azione nel diffondere la droga a coloro che sono esclusi dal mercato legale, nel diffondere dosi superiori a quelle stabilite per legge, nel diffondere la droghe pesanti se venissero legalizzate quelle leggere o nel diffondere le droghe nuove se venissero legalizzate quelle pesanti. Si dovrebbe, dunque, fissare legislativamente l’età minima, con ciò stesso si creerebbe una fascia costituita da tutti coloro che sono al di sotto di essa, che diventerebbero clandestini. Altro problema è il prezzo del prodotto. Se il prezzo della cannabis legale risulterà essere elevato la comprerebbe solo chi ha soldi, mentre gli altri continuerebbero a cercarla sul mercato nero alimentando un mercato clandestino senza scrupoli che pur di guadagnare lavorerebbe sulla qualità del prodotto. Invece di arrendersi legalizzando proviamo a costruire azioni complementari per combattere la droga: educazione, prevenzione, non criminalizzazione del consumo, lotta al traffico e recupero di chi cade.

Andrea Zirilli

Il programma tv a cui ti riferisci, caro Andrea, è «Il supplente», appena concluso su Rai 2. Lo dico per i lettori che non l’avessero visto, ai quali sintetizzo anche il meccanismo. Gli alunni di una quinta superiore sanno che una loro mattina di scuola sarà ripresa dalle telecamere per fini istituzionali. Ma all’ultimo momento, al posto del professore di ruolo, si presenta un supplente sui generis, un personaggio famoso, che farà lezione a modo suo, «spiato» dal vero professore. Ad inaugurare la serie è stato proprio Roberto Saviano in un liceo classico di Maddaloni. A seguire Mara Maionchi in un linguistico di Milano. Poi ancora J-Ax, Enrico Mentana e Flavio Insinna. Notevole la sorpresa degli studenti nel vedere entrare in aula come «supplente» l’autore di «Gomorra».

«Fare il professore è il mestiere più difficile e rischioso della terra», ha subito ammesso Saviano. Ma poi, più che parlare di storia, materia della «supplenza», ha finito per promuovere la legalizzazione delle droghe leggere. L’ha girata bene, da affabalutore qual è, ma il messaggio finale è stato indiscutibile. E i ragazzi ci sono cascati (vedi le interviste realizzate dopo la «lezione») e con loro chissà quanti telespettatori. Questo ci tenevo a spiegarlo. Per il resto, caro Andrea, non posso che condividere la sostanza del tuo ragionamento e del tuo messaggio: non arrendiamoci alla legalizzazione delle droghe leggere. E poi perché chiamarle «leggere»? Sempre droghe sono.

Andrea Fagioli