Le nozze reali tra rivoluzione, tradizione e fiaba (presunta)

Caro direttore, ti scrivo a proposito del Royal Wedding di Harry e Meghan. Personalmente ho letto l’avvenimento come una nemesi della Storia. Nella Cappella di St. George al Castello di Windsor si è consumata una mini-rivoluzione: una splendida signora di origini afro-americane, divorziata, di professione attrice, è entrata a vele spiegate in una famiglia reale che, non più tardi di sessanta anni fa, con l’avallo di Elisabetta II, felicemente regnante già allora e presente all’evento di pochi giorni fa, aveva decretato l’infelicità della principessa Margaret, impedendole di sposare l’asso della RAF capitano Townsend, divorziato. E che dire di quanto era avvenuto nel 1936, con Edoardo VIII costretto all’abdicazione per convolare a nozze con l’americana pluridivorziata Wallis Simpson? La Storia si diverte, se si pensa che lo scisma anglicano nacque per permettere al re Enrico VIII di prendersi una seconda moglie. Ne avrebbe poi avute in totale otto. Torniamo a Meghan e a una nota secondo me stonata nella festosa celebrazione. L’aria nuova è entrata sotto le volte della Cappella con la sposa e la sua storia, con il Coro Gospel, con la predica del reverendo americano che ha esposto le sue esortazioni anche attraverso il linguaggio del corpo ed ha rivolto una domanda «impertinente» all’ingessata aristocrazia britannica: «Vi ricordate quando vi siete innamorati per la prima volta?».

Novità assolute, che hanno fatto toccare con mano la differenza tra i due mondi. Fin qui tutto bene. Una bella svolta. Peccato che in parte sia stata vanificata da Meghan stessa indossando  quell’inappropriato abito bianco. Non solo, ma la «rivoluzionaria» l’innovatrice, secondo i tabloid britannici, che giustamente non ha  giurato obbedienza al marito, che ha percorso in orgogliosa solitudine la navata come segno di indipendenza, si è presentata con un velo lunghissimo. Fosse apparsa in vestito da cerimonia argento, avorio, crema, azzurro, di qualunque colore, l’avrei applaudita di cuore; ciò che aveva scelto mi è parso un abito di scena, come se l’incantevole signora stesse recitando la parte della sposa. Il vestito era un tributo a quelle tradizioni che Meghan si era sforzata di innovare. Mi è sembrato poco coerente. Chiedo il tuo parere su un argomento che non è futile come in apparenza sembra: se un simbolo ha perso il suo valore, perché continuare a usarlo? Che senso ha? Dio salvi la Regina. Ne ha bisogno. E anche noi.

Elena Giannarelli

Non sono un esperto di abiti, ma sono d’accordo con te, cara Elena: quello strascico era molto poco «rivoluzionario». Che poi fosse di scena, non c’è dubbio. Questi matrimoni sono prima di tutto un evento mediatico e quando sai che il mondo ti guarda (non è un modo di dire viste le tv collegate) e pensa che tu stia vivendo una fiaba, non puoi che recitare una parte, anche se sei innamorata davvero. Se poi sei un’attrice sei pure avvantaggiata. Avendo seguito la diretta televisiva su più canali (non tanto per interesse personale quanto per dovere professionale), ti posso garantire che l’idea dell’amore da fiaba era la più gettonata. Per carità, non può che far piacere sentir parlare d’amore in tempi in cui è spesso l’odio a prevalere. Ma dovremmo essere coscienti che l’amore dei reali non è certo più importante di quello di qualsiasi altra coppia al mondo. Chi si sposa per amore vive una fiaba pari a quella di Harry e Meghan, anche se il matrimonio non costa 36 milioni di euro e la gente non dorme all’aperto per vederti passare in carrozza. Sul fatto, infine, che «Dio salvi la Regina» come persona sono d’accordo. Quanto alla monarchia, io credo sia decisamente superata e a dirlo è proprio quella Storia a cui, cara Elena, anche tu fai riferimento.

Andrea Fagioli