Dai sacerdoti pretendiamo molto, ma non li sosteniamo

Caro direttore, abbiamo tutti la consapevolezza di aver costruito, coscientemente o meno, una società fatta di tante solitudini, quando uno degli impegni del cristiano sarebbe quello di avere attenzione ed operare per la costruzione di una collettività attenta e solidale. Per far questo abbiamo necessità del consiglio e dell’aiuto dei nostri sacerdoti. Sacerdote è colui che «fa» il sacro, sacerdote è la combinazione delle parole sacro (sacer) e fare (dho-ts). Giustamente un laico come Andreoli ne parla come di «una persona che si inserisce nel mistero». Il mistero è parte essenziale della nostra vita, così come lo è il sacro. Lo dimentichiamo spesso. Alcuni accadimenti di questi giorni mi hanno portato a riflettere sui nostri sacerdoti e sulla loro missione, su quanto chiediamo loro e su quanto e come, assorbiti dalle nostre faccende, riusciamo a percepire ed accogliere la loro solitudine, essendone invece talvolta causa. Certamente il sacerdote ha fatto una scelta radicale, che lo rende ai nostri occhi diverso, ed in nome di questa radicalità lo riteniamo più forte di noi, ma a noi un po’ estraneo, quasi che non avesse mai quelle necessità che invece rivendichiamo attentamente per noi. Dimentichiamo che un sacerdote non è soltanto una persona colta, ma che è persona immersa in una dimensione alla quale dovremmo aspirare, dimentichiamo che è una persona consacrata. Dimentichiamo anche le sue rinunce, dimentichiamo le difficoltà che incontra a muoversi nella società civile, difficoltà che siamo proprio noi laici a creare. Infatti, ci rendiamo spesso colpevoli di pretendere il loro impegno senza poi sostenerli. Pretendiamo molto dai nostri sacerdoti e, quando non raggiungono l’asticella all’altezza che insindacabilmente abbiamo collocato, ci ergiamo a giudici severissimi, con una severità che mai applicheremmo a noi stessi ed ai nostri amici, incuranti come siamo che un sacerdote non ha interessi di parte da difendere e svolge una missione che non gli appartiene come singolo, ma come funzione di un superiore interesse. E soprattutto, quando ci dimentichiamo di sostenerli, ci dimentichiamo in realtà – com’è successo in questi giorni – che una loro sconfitta è una sconfitta ed una ferita per tutti noi. Se pensiamo che la loro presenza attiva nella società con i valori di cui sono portatori ed interpreti siano un sale necessario, abbiamo il dovere di sostenerli. Mi rendo conto, pensando agli amici sacerdoti che meglio conosco, che in tanti casi io non ne sono stato all’altezza. Vedo che purtroppo non sono il solo.

Gabriele Pica AlfieriPrato

Grazie, caro avvocato, per questa sua riflessione che nasce, deduco, da un fatto concreto recente, ma che ha comunque valore in senso assoluto. È vero, infatti, che noi cattolici dai sacerdoti pretendiamo molto. Nei loro confronti diventiamo giudici severi. Non ammettiamo che possano avere le stesse nostre debolezze. Quasi non fossero uomini come tutti noi. Per questo, molto spesso, non facciamo niente per aiutarli o per sostenerli. Eppure, come dice lei, incontrano anche più difficoltà dei laici a muoversi in una società che di contro non riconosce loro più nessuna autorevolezza, anzi: il più delle volte li denigra. E poi, per dirla tutta, nemmeno preghiamo per loro. Mentre delle nostre preghiere avrebbero un gran bisogno. La conferma autorevole arriva da Francesco, che non manca mai di chiedere a chiunque incontri di pregare per lui. E se ha bisogno di preghiere il Papa, figuriamoci gli altri sacerdoti.

Andrea Fagioli