L’ipotesi degli arresti domiciliari al boss mafioso Totò Riina

Egregio direttore, in questi ultimi giorni sento parlare quotidiani e giornali sulla eventuale scarcerazione di Toto Riina dal carcere per gravi motivi di salute e per dare una morte dignitosa. Da cristiano sono obbligato, prima di esprimere una opinione a rispettare gli altri, in questo caso la mia opinione sulla «morte a casa sua» o morte dignitosa di Toto Riina la vedo come un oltraggio. Il Figlio di Dio non ha avuto una morte dignitosa, le centinaia di persone assassinate da questo «signore» non hanno avuto una morte dignitosa. Mi domando e tutte le famiglie rimaste vittime di questo «signore» sono o no oltraggiate da un simile provvedimento, se sarà attuato? Poi lo vogliono scarcerare ? Va benissimo se le leggi umane lo consentono, ma allora si analizzano tutti i 60 mila detenuti nelle carceri italiane e si dia a tutti nella stessa condizione le stesse possibilità. Perché a me viene un dubbio, quello dei due pesi e due misure, a quel punto, direttore scarceriamo immediatamente anche Fabrizio Corona.

Alessandro Simoncini

Grazie, caro Simoncini, per questa sua lettera, che mi permette di tentare un ragionamento su una notizia che nei giorni scorsi ha fatto molto discutere, ovvero la sentenza della Cassazione relativa all’eventuale concessione degli arresti domiciliari al boss mafioso Totò Riina. Dico subito che anch’io sono contrario a questa concessione se c’è il rischio che Riina, una volta ai domiciliari, possa tornare a essere un punto di riferimento per il suo clan. Sappiamo bene come la mafia viva anche di piccoli segnali. Un capo comanda anche se costretto a letto o a nascondersi in un bunker. Diversamente, se le condizioni di salute fossero realmente gravi e valutate con scrupolo, non sarei contrario agli arresti domiciliari. Questo dovrebbe comunque valere per qualsiasi detenuto, perché, come dice lei, caro Simoncini, non si possono usare due pesi e due misure. Più in generale, però, attenzione a confondere la giustizia con la vendetta e il carcere con la giustizia. Attenzione anche all’invocata logica della reciprocità, che può nascondere il principio dell’occhio per occhio, dente per dente. Dobbiamo per questo rifuggire dai luoghi comuni della serie «chiudiamolo in cella e buttiamo via le chiavi». Teniamo conto che l’articolo 27 della nostra Costituzione ci dice che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Ecco allora la situazione delle nostre carceri, dove il solo problema del sovraffollamento impone ai detenuti una condizione disumana. Ma anche la questione della nostra giustizia, la cui lentezza costringe dietro le sbarre un gran numero di detenuti in attesa di giudizio e quindi potenzialmente innocenti. La doverosa attenzione ai carcerati non deve comunque far dimenticare che ci sono delle vittime e ci sono i loro familiari, che più di qualsiasi altro hanno diritto a esprimere un parere.

Andrea Fagioli