Quando il perdono è tutt’altro che una forma di buonismo
Egregio direttore, mi è arrivato oggi il giornale. Lo chiamerei «tutto amore». Tutti perdonati. Tutti salvi. Anche la nostra religione sta diventando un fai da te adattabile ad ogni circostanza. Va bene aprirsi ai tempi, ma alcuni valori vanno salvaguardati, come il pentimento e la volontà di superare gli errori. Che troppo spesso non sono più tali e quindi tolgono ogni desiderio di migliorarsi. Se manca questo desiderio e questa opportunità viviamo in un vuoto spaventoso, senza speranza di redimersi. Tutto va bene, tutto fluido, tutti buoni. Qui c’è qualcosa, caro direttore, che non torna, bisogna tornare a Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita». Il resto sono illusioni.
Roberto Lombardo
Il giornale a cui si riferisce, caro Roberto, dovrebbe essere quello del 5 marzo scorso, stando almeno alla data della sua mail (2 marzo). A questo proposito mi scuso se pubblichiamo solo ora la sua lettera, ma nelle settimane scorse ci sono stati argomenti più urgenti come il suicidio assistito o la «stepchild adoption». Torno, pertanto, a sfogliare quel numero 8 e mi chiedo a cosa si possa riferire in particolare. Forse all’articolo richiamato in prima pagina, «Un cammino con i testimoni del perdono», che racconta di una bella iniziativa ospitata a Loppiano, la cittadella dei Focolari, in cui persone colpite in modo violento nei loro affetti più cari hanno testimoniato come siano riusciti a perdonare gli assassini di mogli o fratelli. Altro che «tutti buoni, tutti perdonati, tutti salvi», qui c’è un cammino molto più complesso, impegnativo e difficile, che ha condotto queste persone a perdonare, ovvero, come è stato detto in quella circostanza, a «guardare gli altri come gli ha sognati Dio». Non è banale buonismo, tutt’altro: è un percorso che va proprio nella direzione di quella Via, Verità e Vita di cui parla anche lei, caro Roberto.
Andrea Fagioli