Giovani terroristi senza ideali, ma anche senza Dio
Caro direttore, sono un vecchio prete da molto tempo in pensione, non ho capacità né passione per usare i nuovi mezzi di comunicazione sociale, né per informarmi né per comunicare, per cui uso ancora la vecchia posta. Quanto sto scrivendo forse è già stato detto da altri prima e meglio di me, in questo caso cestini tranquillamente la presente e comunque ne faccia quello che crede. A proposito della strage di Dacca ho sentito lunghe cronache e commenti, soprattutto meraviglia e sorpresa per il fatto che siano diventati terroristi giovani di buona famiglia, e con un buon livello di studi. A me sembra abbastanza chiaro che questi attentatori, semplicemente «sono la conseguenza naturale dell’assoluta mancanza di ideali della nostra società consumistica e delle nostre scuole funzionali a questa stessa società». Ritengo che ogni persona abbia bisogno di ideali per i quali vivere, più che del pane e dell’aria, e gli unici o i primi ideali con i quali questi giovani sono venuti a contatto, li hanno affascinati, e sono ideali religiosi. Non sarà che le religioni tradizionali siano poco convincenti nel dare l’esempio di come vivere i propri ideali? Questo certamente non è vero per tutti, ci sono tanti credenti che si spendono pienamente e con gioia per i loro validissimi ideali. Ma il problema grosso esiste. Auguriamoci di non essere talmente dipendenti dai nostri attuali standard di vita da aver paura anche a riconoscerlo. Mi creda che spero con tutto il cuore che quanto ho scritto sia sbagliato, ma temo tanto che sia molto vero.
Don Carlo Matulli
Grazie, carissimo don Carlo, per questo contributo senza l’utilizzo dei «nuovi mezzi di comunicazione sociale». L’arrivo di qualche lettera con la «vecchia posta» fa sempre piacere. Per il resto credo abbia ragione nel sottolineare l’importanza degli «ideali per i quali vivere» e che proprio le religioni, più di ogni altra forma di pensiero o di ideologia, dovrebbero offrire. Molto spesso, però, sono proprio i credenti a non essere d’esempio. La tiepidezza la fa da padrona. Anche se non mancano eccezioni. Ma nel caso specifico di Dacca e di crimini simili, non si può dire che si tratti di terrorismo in nome di una religione. Quei giovani a cui fa riferimento, caro don Carlo, non credono in niente. Usano in modo strumentale la religione per «un inqualificabile affronto alla dignità della persona umana». Il Papa l’ha detto più volte, in più modi e in più occasioni: «È aberrante uccidere in nome di Dio»; «Utilizzare il nome di Dio per giustificare la strada della violenza e dell’odio è una bestemmia». Quella dei terroristi è insomma una strada perversa che non porta da nessuna parte, che non risolve i problemi dell’umanità. Al contrario, li acutizza. La violenza genera solo altra violenza. E noi non possiamo accettare né l’una né l’altra. Se rispondiamo all’odio con l’odio, se pensiamo che la guerra sia la risposta giusta ad atti che hanno come scopo proprio quello di trascinarci in guerra, allora – come scriveva qualche tempo fa il Priore di Bose, Enzo Bianchi – hanno già vinto loro. Al terrorismo si risponde resistendo al male e lavorando per la verità e la giustizia attraverso il dialogo. Dobbiamo anche continuare la nostra vita normale, senza farci prendere dalla paura, altrimenti, cedendo al terrore, la diamo vinta in qualche modo sempre a loro, ai propagatori dell’odio e della violenza.
Andrea Fagioli