Chi fugge dalla miseria è come chi fugge dalla guerra
Definirli «fuggiaschi» per uno come me che ha vissuto il dopo guerra italiano quando intere famiglie emigravano in Argentina, è riduttivo. C’è infatti chi preferisce pensare che solo a coloro che fuggono dalla guerra si debba portare rispetto dimenticando che anche la miseria, l’ignoranza e di conseguenza la fame, ma anche la difficoltà a potersi creare un futuro con un nuovo stile di vita, meritano incoraggiamento.
Un sogno! Un miraggio? Purtroppo sembra di sì in quanto emigrando in una Europa viziata da anni di benessere e di sicurezza, per lo più spesi ad assecondare un egoistico ed acceso consumismo, vera e propria negazione dell’Umanesimo, per loro, per i migranti, può rappresentare una dura lezione.
Una delusione. E qui vale il criterio che anche il più piccolo errore nella scelta della destinazione e relativa via da seguire per raggiungerla può portare ad un fallimento. Un disastro. Infatti, se la via terrestre è decisamente meno pericolosa, ma più densa di incognite a carattere geo-politico ed utilitaristico, quella marittima a bordo dei gommoni è di gran lunga la peggiore di tutte e direi, l’estremo dei mali. La morte.
Avrete notato però che a chi traversa il Mare Mediterraneo rischiando di perdere la vita viene riservata una accoglienza che appare, anche se tecnicamente meno perfetta, più umana? Nei paesi dell’Est europeo, ex blocco sovietico, ma anche in quello del continentale germanico, se l’organizzazione è pressoché impeccabile, però manca il cuore. Manca il sentimento. Manca cioè quella componente essenziale che rende tutto più facile, risolvibile, accogliente in una parola «meridionale». Saranno i frutti maturati dopo secoli di spartizione del poco di cui si abbonda, ma anche di insegnamento ad amare il prossimo tuo come te stesso, il fatto è che uno che si trova in quelle stesse condizioni si sente come a casa sua.
Mancheranno le lenzuola, le federe, forse i soldi che magari qualcuno ha miseramente rubati, ma in quanto ad amare, a noi italiani non ci batte nessuno E non sto parlando dei politici, razza poco raccomandabile, ma della gente comune.
I marinai delle motovedette della Capitaneria di porto e della Finanza di mare che quando delicatamente prendono in braccio un piccolo somalo od eritreo piangono, pensando che al posto suo ci poteva essere un figlio, ne sono l’esempio.
Gli altri, i germanici e i cispadani, fortemente imbevuti di quel luteranesimo che tutto esige dagli altri meno che da se stessi ed odia lasciarsi andare a quelle che considera debolezze da povera gente, in quanto ad organizzazione saranno anche più bravi, ma presentano altre gravi lacune.
È vero, caro Masini, chi fugge da miseria e fame non è da meno di chi fugge dalla guerra. La differenza è che i primi potrebbero essere aiutati anche nei loro Paesi, mentre gli altri vanno accolti e basta. È vero anche il diverso trattamento riservato ai profughi da parte italiana, per chi arriva dal mare, e da parte di alcuni governi europei, per chi arriva dalle terre confinanti. Lei parla anche di negazione dell’umanesimo ed è interessante che lo faccia a poco più di un mese dal Convegno ecclesiale nazionale che a Firenze affronterà proprio il tema del nuovo umanesimo. Saremo chiamati anche in quell’occasione a forme di buona umanità in un contesto sempre più difficile, con questi nuovi scenari internazionali di guerra e di povertà, ma anche con una crisi economica che riguarda tutti. Saremo chiamati a recuperare il senso del bene comune, a creare una scala di valori condivisi, a scoprire la bellezza della solididarietà e dell’accoglienza.
Andrea Fagioli