Lo smarrimento di fronte a un amico che si toglie la vita
Fino ad oggi non mi era mai capitato che una persona amica si togliesse la vita: sono rimasto particolarmente colpito, e profondamente addolorato, quindi, dal suicidio di don Carlo, prete di Livorno. Sono rimasto sconvolto perché ha richiamato il buio della morte che è dentro di me, che è dentro ogni persona, a fianco della luce della vita. Avevo conosciuto don Carlo durante il mio cammino verso il sacerdozio, seguito dal vescovo Luciano e in collegamento col seminario di Fiesole, che don Carlo stava frequentando. Mi ricordo di tanti incontri con lui; dopo l’ordinazione non ci eravamo più visti anche se avevamo ancora amici in comune. Devo dire che ho anche atteso, e attendo, da Toscana oggi una riflessione sul suicidio di un sacerdote.
Preciso che non voglio entrare in merito del caso, non ne ho gli elementi e non è il mio compito. Voglio semplicemente esternare il mio dolore e proporre qualche riflessione, molto elementare. Perché una persona si toglie la vita? Perché un prete sceglie anche lui questa possibilità? Mi rispondo che questa scelta può essere fatta quando tutto crolla intorno a sé, quando non si vedono possibilità di andare avanti umanamente parlando e la speranza, insieme alla fede e alla carità, si allontanano o non sostengono più in modo sufficiente.
Di fronte a episodi sconvolgenti nella storia, teologi e uomini di Chiesa parlano del «silenzio di Dio»: e questo non avviene anche in un credente, in un presbitero che non ce la fa più? Mi dico allora che nella vita, umana e cristiana, è fondamentale avere relazioni di affetto e di amicizia vere e profonde; avere persone che sanno ascoltare e accogliere il tuo dolore, la tua disperazione e che ti sanno sostenere. E queste relazioni sono particolarmente importanti per un sacerdote, per un religioso e una religiosa, in questo momento storico dove il ruolo sociale e culturale nostro va ritrovato. E amaramente non posso che constatare che queste relazioni sono carenti: fra gli stessi sacerdoti e religiosi troppo spesso i rapporti sono solo formali o di potere.
La formazione sacerdotale e religiosa deve diventare anche, soprattutto direi, un cammino di crescita nelle capacità di ascolto reciproco, di sostegno reciproco, di empatia. Il Signore ci insegna che la compassione è, con l’amore materno e paterno, il sentimento del cuore del Padre: compassione che vuol dire capacità di soffrire con l’altro, di gioire, camminare, ascoltare e accogliere, come è, l’altro. E mi dico che il compito più urgente dei Vescovi e dei superiori degli ordini religiosi è quello di essere fratelli maggiori che con i sacerdoti e con i loro confratelli iniziano questo cammino. Mi dico anche che forse il suicidio di un cristiano può essere un ultimo atto di grande speranza: di fronte al fallimento umano forse l’unica scelta, disperata, può essere di correre e rifugiarsi nella Casa del Padre, dove Cristo ci attende e ci ha preparato una dimora. E mi dico anche che spero profondamente che il Signore accolga fra le sue braccia il dolore e la disperazione di don Carlo, consolandolo e avendo compassione di lui.
Quanto è stata matrigna la Chiesa, fino a pochi anni prima del Concilio vaticano II, a non accogliere il dolore dei suoi figli che si toglievano la vita e dei loro cari, negando il funerale cristiano e la sepoltura nei cimiteri. Papa Francesco potrebbe chiedere perdono, seguendo l’esempio di Giovanni Paolo II, anche per questo peccato di mancanza di misericordia in occasione del prossimo giubileo.
don Carlo Prezzolini
Accogliamo volentieri questa riflessione di don Carlo Prezzolini, anche se lui la attendeva da noi. Dico solo che del drammatico fatto ne abbiamo parlato nelle nostre pagine di Livorno e nel nostro sito internet. Non ne abbiamo parlato sulla parte regionale del giornale cartaceo per il semplice fatto che a volte il silenzio (inteso anche come preghiera) vale molto più delle parole. Da genitore penso che la cosa peggiore sia la morte di un figlio. Smisuratamente peggio c’è solo il suicidio di un figlio. Credo che altrettanto valga per un vescovo e una diocesi nel caso di un sacerdote.
Andrea Fagioli