Matrimonio, perché non possiamo dirci tutti irlandesi

Gentile direttore, a proposito del referendum irlandese sulle nozze gay, si é scatenata una prevedibile ondata di trionfalismo da parte dei soliti noti (gruppi ideologici che ben conosciamo). Tale trionfalismo é alquanto discutibile e piuttosto strumentale,se si prendono in considerazione alcuni fattori che hanno pesantemente influenzato il consenso degli irlandesi. In primo luogo, la soffocante campagna per il sì, messa in atto anche da lobbies internazionali, operanti a senso unico. Va inoltre considerata la presenza di una sottile minaccia di penalizzare sul piano economico un’eventuale vittoria del no. Si aggiunga che il clima, sapientemente creato anche a livello mediatico, ha indotto a temere la solita accusa di omofobia. In più il governo irlandese aveva già, lo scorso gennaio, furbescamente preparato il terreno ad un consenso, approvando opportune leggi sulla adozione di bambini da parte delle coppie gay. Un espediente che, in buona parte, vanificava la sostanza del referendum. Tutto queste considerazioni vengono da una buona conoscenza della società irlandese e delle forze pronte a muoversi quando vengano affrontate certe tematiche.

Fabio Mendler

Che l’amore, seppur tra grandi difficoltà e nel pieno rispetto di ogni libertà, trionfi sempre è, per un credente (anche laico), una sorta di «certezza»; di postulato ineludibile. Che anche il recente referendum irlandese sui diritti delle coppie omosessuali sia una conquista d’amore non è in discussione. E che l’amore debba essere coronato dal riconoscimento di fondamentali diritti civili, anch’esso è essenziale in una «società aperta». Ma che l’amore possa essere «utilizzato» come opzione di omologazione, questa è un’aberrazione assolutamente da evitare. L’affetto che unisce due persone non può divenire la foglia di fico per ogni rivendicazione e l’occultamento di indiscutibili differenze anche naturali: la coppia tra un uomo e una donna è, da un punto di vista biologico, unica rispetto ad ogni altro tipo di unione. Non a caso il processo evolutivo ha selezionato tra le varie opzioni riproduttive quella sessuata. Quindi non tutto è uguale sotto l’«ampia» coperta dell’amore: c’è un amore assai variegato e da un punto di vista naturalistico sterile, e un amore – unico – capace di generare, al proprio interno, nuova vita. Ogni pretesa omologazione financo giuridica (l’istituto del matrimonio equiparato alla coppia gay, all’unione di fatto od anche alla stessa convivenza) immolerebbe l’amore sull’altare della «in-differenza» e di una strisciante «strumentalizzazione – per così dire – civile». Due persone che scelgono liberamente (e quindi con ragione) un certo tipo di unione hanno certamente diritto alla tutela giuridica del loro specifico status. Ma non tutte le unioni (anche quelle eterologhe) possono vantare o esigere gli stessi identici diritti per la semplice ragione che sono diverse. E sono state scelte, perché diverse! Nella coppia il soggetto del diritto non è l’individuo, bensì la coppia. E ogni tipo di coppia – in base anche alle specificità naturali ed antropologiche – ha diritto al riconoscimento di una propria particolarità. Parafrasando una certa impostazione scolastica, potremmo ipotizzare due classi di diritti: diritti «comuni» uguali per tutte le coppie e dei diritti di «indirizzo» puntuali e particolari per ogni fattispecie. Su queste premesse, appare irrinunciabile e improcrastinabile (e la Chiesa dovrebbe aiutare in tal senso) una nuova, organica ed avanzata legislazione nazionale. Non liberalizzare, come è accaduto in Irlanda. Ma legalizzare (ovvero, regolamentare con serietà e responsabilità) a tutela delle coppie, dell’amore che la sorregge e della diversità che le qualifica. Solo la diversità (anche negli istituti) è alcova d’amore.

Daniele Marchetti

Lascio volentieri spazio ai nostri lettori. Il referendum irlandese ha suscitato molto dibattito. Per quanto mi riguarda il matrimonio resta uno: quello tra un uomo e una donna aperto alla vita. Ribadisco che i diritti individuali delle persone possono e devono essere garantiti. Ma non capisco perché si continui ad attaccare l’idea forte di matrimonio e di famiglia che almeno in Italia i nostri Costituenti hanno a suo tempo definito «naturale».

Andrea Fagioli