La disinformazione sulle chiese «a pagamento»
Gentile direttore, su «Repubblica» di mercoledì 13 maggio è stata pubblicata una lettera dal titolo «Perché la Chiesa deve pagare l’Imu», nella quale si evidenziava che se la Chiesa fa pagare un biglietto di ingresso nelle chiese più importanti come quelle di Firenze, allora deve pagare anche le tasse. Mi sembra di aver letto da qualche parte che le chiese di in certo rilievo artistico e architettonico sono gestite da enti indipendenti dalla Chiesa e che gli introiti servono per il mantenimento delle opere d’arte e per pagare gli stipendi ai vigilanti. È cosi? So che chi vuol recarsi a pregare in tali chiese non paga nessun biglietto, ma a «Repubblica» queste precisazioni non interessano, ovviamente.
Ivan Devilno
Le lettere pubblicate su «Repubblica» in realtà sono due: la prima è uscita martedì 12 maggio e faceva a sua volta riferimento a un ampio articolo del 6 maggio dal titolo «“Chi visita il duomo paga il biglietto” la gabella di Milano che fa infuriare i fedeli». Con la solita imprecisione si parlava di «proteste di chi va per pregare» e si raccontava delle lamentele di un’anziana signora di fronte al pagamento di 2 euro per andarsi a confessare. In realtà, in tutte le chiese l’accesso per i fedeli che vogliono andare a pregare, a confessarsi o alla Messa è sempre libero e spesso avviene da un accesso privilegiato, che il giornale, al contrario, descriveva come particolarmente difficile: «Per entrare in chiesa da fedeli, bisogna percorrere 160 metri lungo la facciata sud della chiesa, scavalcando le code dei turisti davanti alle biglietterie».
Per quanto mi riguarda, posso fare l’esempio del Duomo di Firenze, dove non esiste il ticket ma un ingresso contingentato per i turisti, mentre i fedeli accedono liberamente da un ingresso laterale nei pressi dell’altare maggiore e delle cappelle delle Messe e delle confessioni. Anche in Santa Croce, dove c’è il ticket, i fedeli possono entrare comunicando direttamente la propria intenzione al personale di sorveglianza senza code da scavalcare.
Ignorando questo, il lettore della prima lettera sentenziava che «visto il carattere meramente commerciale dell’iniziativa, a questo punto, come tutti noi mortali peccatori, si dovrebbe pagare l’Imu su quell’edificio, non essendo più luogo esclusivo di culto».
Nella seconda lettera, pubblicata il 13 maggio e alla quale fa riferimento anche il nostro lettore, si dava ragione a quanto scritto nella prima dicendo che «da molti anni a Firenze per entrare nelle chiese più importanti si paga il biglietto e allora perché non si fa pagare anche l’Imu?».
A questo proposito, oltre a quanto detto sull’ingresso dei fedeli nelle chiese fiorentine, confermo che alcune basiliche, come Santa Croce, dipendono dal Fondo edifici di culto gestito dal Ministero dell’interno e amministrato a livello provinciale dai prefetti. Che poi il ricavato dai biglietti d’ingresso serva per il mantenimento delle chiese e delle opere d’arte presenti al loro interno è ovvio. Per cui non si capisce proprio dove stia il problema se non in una continua volontaria disinformazione in proposito.
Andrea Fagioli