L’elezione di Mattarella e il «corpaccione democristiano»
All’analisi dell’elezione del nuovo capo dello stato fatta nel numero scorso da Nicola Graziani vorrei aggiungere qualche considerazione, per dire intanto della miserevole figura fatta dalla destra nel suo complesso, per un verso meschinamente latitante sul nome di Mattarella, per altro verso incapace di trovare tra le proprie fila un’alternativa che non fosse – incredibile! – l’ineffabile Feltri del «metodo Boffo».
Ma per venire più direttamente al cuore del discorso di Graziani («l’elezione di Mattarella rivaluta il cattolicesimo democratico», dimostrando per converso la debolezza della diaspora cattolica), dico che bisogna intendersi, perché non tutto quello che ha albergato dentro il corpaccione democristiano merita questo riconoscimento. Non lo meritano, ad esempio, Andreotti e Forlani, né i tanti che si lasciarono lusingare dalle sirene berlusconiane (tra cui – duole dirlo – anche una parte rilevante dell’episcopato), mentre il vero popolarismo democratico, Mattarella in testa, si batteva contro autentiche «bestemmie» storico-politiche come l’ingresso di Forza Italia nel Ppe o l’appropriazione dell’eredità di De Gasperi da parte del Cavaliere piduista.
E che tanta parte dell’elettorato ex democristiano (ed ex socialista), nel momento del redde rationem, sia passata armi e bagagli nel campo liberista, la dice lunga sul deficit di cultura civile e istituzionale sviluppata da queste due grandi e nobili «famiglie» politiche in decenni di potere privo di alternative.
Francesco Michelazzo
Caro Francesco, approfitto della tua lettera innanzitutto per salutare l’inizio di una prestigiosa collaborazione per il nostro settimanale, quella di Nicola Graziani, che tu, appunto, citi a proposito dell’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica.
Pier Antonio Graziani, profondo conoscitore della storia del movimento politico dei Cattolici democratici, oltre che un grande giornalista, è stato uno di quei democristiani che come Mattarella davano valore e credibilità proprio a quella corrente politica e culturale del cattolicesimo democratico. E come scriveva Nicola nell’editoriale rammentato, erano molti anni che questa corrente, «nella sua concezione più pura rappresentata dal nuovo Capo dello Stato, non riceveva un riconoscimento tanto aperto».
Non entro nel merito, caro Francesco, delle tue considerazioni, anche molto esplicite, che possono essere condivise o meno. Mi limito a sottoscrivere nuovamente quanto affermava Nicola Graziani, ovvero che l’elezione di Mattarella «deve far pensare» perché «pone sotto una nuova luce un’esperienza che, nel corso degli ultimi decenni, sembrava ormai messa ai margini. Invece, all’improvviso, un Paese stanco e confuso proprio ad essa si è rivolto, trovandovi inaspettate energie pronte ad essere messe in campo. L’elezione di Sergio Mattarella, insomma, pare proprio essere un segno dei tempi».
Andrea Fagioli