Quando si favorisce la morte anziché curare la malattia

Gentile direttore, il gesto di Brittany Maynard, la donna americana affetta da tumore che ha richiesto il suicidio assistito, ha scatenato un ampio dibattito negli Usa e all’estero sul tema dell’eutanasia. In molti Stati é stato usato il dramma di Brittany per la loro campagna, dimenticando che una buona parte dell’opinione pubblica é contraria. Anche perché è ormai evidente che la legalizzazione di tali pratiche per i casi pietosi viene poi gradualmente estesa anche a persone affette da patologie curabili come é avvenuto recentemente in alcuni paesi. In una società materialista come la nostra forse anche per gli Stati è più conveniente favorire la morte piuttosto che curare una malattia.

Goran Innocentiindirizzo email

Il primo pensiero e soprattutto la prima preghiera è per lei, per Brittany Maynard. Speriamo che possa aver trovato realmente quella pace che ha creduto di trovare su questa terra negli ultimi istanti di vita con quel gesto estremo. Un gesto che diventa persino comprensibile, anche se assolutamente non condivisibile. Comprensibile per il livello a cui Brittany aveva portato la sua «esposizione mediatica», soprattutto tramite internet e i «social network» con video, appelli, interviste, finendo per diventare in qualche modo vittima designata di un terribile show. C’è tutta una letteratura e una filmografia in questo senso che va da «La morte in diretta» a «Truman show» e che spiega bene cosa può essere successo da questo punto di vista. Ma a parte questo, il gesto di Brittany ricorda, nella sua drammaticità, quella «cultura dello scarto» alla quale più volte ha fatto riferimento Papa Francesco e che «tende a diventare mentalità comune che contagia tutti», mettendo in pericolo in primo luogo la persona umana.

«La vita umana, la persona – dice il Papa – non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora, come il nascituro, o non serve più, come l’anziano» o il malato come nel caso di Brittany. Insomma, ciò che diviene di peso per la società, anche come costi, lo buttiamo via, oppure lasciamo che si butti via senza intervenire, anzi plaudendo al suo gesto in nome della libertà, la libertà di togliersi la vita o meglio, per usare il linguaggio politicamente corretto, di avvalersi della facoltà di interrompere autonomamente la vita. È davvero difficile dire che in tutto questo ci sia la scelta di morire con dignità. Noi non siamo padroni della nostra vita. Per questo non possiamo deciderne la fine. Nel caso della giovane americana, poi, è stata sottovalutata la capacità della medicina non dico di poterla guarire (anche se la speranza c’è sempre), ma almeno di accompagnarla nell’ultimo tratto garantendole una buona qualità di vita sino alla fine. Non è un caso che moltissime persone, alcune malate o parenti di malati, quindi con esperienza diretta, avevano scongiurato Brittany di ripensarsi.

Andrea Fagioli