Sull’accordo Renzi-Berlusconi
Caro direttore, non credo che avranno grandi effetti le recenti notizie relative ai tristi primati riconosciuti al nostro Paese nel campo della corruzione. Non mi aspetto grandi effetti non solo nella società civile, ormai abituata a considerare questi dati quasi come aspetti folcloristici, ma neppure fra i cristiani: i quali, poco sensibili alle vibranti condanne di Papa Bergoglio (che da tempo definisce la corruzione come la radice di tutti i mali), non si distinguono certo per la denuncia ed il contrasto di questo grave e crescente fenomeno.
Si assiste così al singolare spettacolo di questi giorni: nel momento in cui sembrava che le definitive sanzioni dell’autorità giudiziaria avessero posto fine al ventennio in cui la corruzione era stata non solo praticata in grande stile a titolo personale, ma anche giustificata, promossa e teorizzata come metodo di azione politica ed economica, si è avuta una nuova legittimazione del protagonista di quel periodo, richiamato inopinatamente in campo ed addirittura fatto oggetto di proposte di ritorno sotto la sua protezione. Il risultato è che un terzo degli italiani si dichiarano pronti ad affidare le proprie sorti a chi è stato già ritenuto responsabile e tuttora perseguito per un gran numero di enormi frodi ai danni dello stato, dei concorrenti, degli azionisti, delle istituzioni, dell’elettorato.
Se la cosa è grave per chi ritiene di impegnarsi nella cosa pubblica sulla base di una motivazione morale, essa appare incomprensibile anche per chi si limita a considerare il semplice interesse dei cittadini. La corruzione – infatti – impedisce lo sviluppo civile ed economico di un popolo, e lo riduce ai margini del mondo e della storia. Mi sembra inutile insistere su questa osservazione, che per la sua ovvietà dovrebbe precedere e condizionare ogni giudizio di tattica politica. Viceversa, la tattica sembra avere ancora il sopravvento, come se lo sconfortante spettacolo che offriamo al mondo fosse un dato inevitabile. Evidentemente, siamo ormai così assuefatti al peggio, che diventiamo incapaci di speranza.
Caro direttore, l’accordo raggiunto tra il segretario del Pd e il leader nazionale di Forza Italia evidenzia chiaramente come Renzi e Berlusconi siano due facce diverse della stessa medaglia, quella che vuole un bipartitismo dove chi «dissente dalle opinioni del capo» viene deriso ed emarginato e all’elettore non deve esser permesso di scegliere il parlamentare perché è necessario, per soddisfare «la causa del capo», che siano nominati dalle segreterie di partito.
Il nostro è un Paese pluripartitico fin dall’unità d’Italia e questa risorsa non deve essere dissipata ma regolata con apposita legge perché i partiti siano fondati su valori, storie e culture differenti ed abbiano soprattutto una gestione chiara e trasparente delle risorse economiche, con una vita interna regolata da propri statuti opportunamente depositati in un apposito registro presso il tribunale. La legge elettorale deve essere capace di far eleggere un Parlamento che sia rappresentativo delle diverse forze politiche presenti nel Paese e permettere all’elettore di poter scegliere i parlamentari. Questi ultimi devono formare gruppi parlamentari con lo stesso nome e simbolo dei partiti nelle cui liste sono stati eletti evitando così la frammentazione parlamentare e la nascita dei «gruppi misti». Venne definita «truffa» dall’onorevole Pajetta la legge elettorale proposta dal Governo guidato da Alcide De Gasperi che prevedeva un premio di maggioranza al Partito o alla coalizione che riusciva ad ottenere la maggioranza assoluta dei voti (era quindi un rafforzativo di una maggioranza scelta dal corpo elettorale): come dovremmo definirla questa voluta dal Sindaco di Firenze e dal Cavaliere di Arcore che trasforma in maggioranza una minoranza uscita dalle elezioni?
Due lettere con due prese di posizione piuttosto nette. Entrambe con sullo sfondo l’accordo Renzi-Berlusconi. A proposito della prima, niente da dire sul fatto che Berlusconi sia un condannato per corruzione. Mi sembra eccessivo, però, parlare di «ventennio in cui la corruzione era stata non solo praticata in grande stile a titolo personale, ma anche giustificata, promossa e teorizzata come metodo di azione politica ed economica». Se questo fosse vero, le responsabilità sarebbero diffuse e non solo di una persona, che tra l’altro, in quei vent’anni, non sempre ha governato. Condivido, però, il giudizio sulla corruzione come uno dei grandi mali del nostro Paese. Per quanto riguarda la seconda lettera, anch’io vorrei una legge elettorale che garantisse la rappresentatività e la possibilità di scegliere i parlamentari (come si dice anche nell’intervento qui accanto). Ma c’è un problema a monte, lo stesso – presumo – che ha spinto Renzi ad accordarsi con Berlusconi, ovvero l’incapacità della nostra politica a trovare convergenze. Lo dimostra proprio il fatto che i partiti, negli ultimi anni, non siano stati capaci di varare una legge elettorale al posto dello scandaloso «Porcellum».
Andrea Fagioli