In margine al ciclone che ha colpito la Sardegna
Il settembre fu ancora piovoso e mite. All’inizio di ottobre cominciò ad accadere qualcosa di insolito e spiacevole: nei giardini, negli orti della periferia e anche nella stessa città ci fu un’invasione di ratti e di talpe uscite dalle fogne. Era il segno che la falda freatica si alzava. La pioggia continuò intensa ma la fine di ottobre portò in anticipo un’ondata di freddo e neve. Da Firenze si vedevano il Falterona e i monti del Casentino già coperti di neve abbondante e tutto pareva una divertente bizzarria di quell’anno fuori del comune. La «bomba di acqua» si stava caricando. Di colpo il vento cambiò per effetto di un arrivo di uno scirocco caldo e forte. La miccia alla «bomba di acqua» era accesa. Il vento portò un forte rialzo della temperatura. Il contrasto fra caldo e freddo provocò le piogge eccezionali, portò nugoli di gabbiani del Tirreno e dal colore grigioverde delle gocce ebbi l’impressione che arrivassero anche eccezionali trombe marine fino all’interno della regione. Quella improvvisa ed enorme massa di acqua calda fece sciogliere in poche ore tutta la neve. La piena di livello e velocità crescenti si rovesciò nell’Arno e nella Sieve. Portava con sé tutte le sporcizie raccolte sulle rive, oltre a tronchi di alberi lasciati incautamente crescere nell’alveo dei fiumi e trascinati via dalla corrente che ne aumentavano il volume. Non c’era il lago di Bilancino. Quelli del Valdarno poterono trattenere solo per qualche ora la massa di acqua che scendeva dal Casentino. E poi come un’onda pazza l’acqua scavalcò le saracinesche.
Ricordo che nella notte fra il 3 e il 4 novembre arrivò alla «Nazione», dove lavoravo, una curiosa notizia: una frana aveva fatto cadere la grande Croce del Pratomagno e una leggenda ammoniva che quell’evento annunciava la possibilità di una grande alluvione su Firenze. Alle sei del mattino tornai a casa, a Ricorboli, e la strada si era allagata. Telefonai al giornale: un cronista mi rispose che la piena dilagava da Candeli su tutto il Pian di Ripoli. Non mi rimase che svegliare tutti in casa e la famiglia di un pittore che abitava accanto a noi. In fredda prendemmo il latte per i miei tre bambini e salimmo al piano superiore. In dieci minuti la mia casa andò sommersa. Su Firenze si abbatteva il «Diluvio». A Natale per Ricorboli passò il papa Paolo VI: un aiuto a una popolazione indomita che stupì il mondo per il suo coraggio e la volontà di ripresa.
Nereo Liverani
Aldo Vaiani
Non ci si è ancora accorti che «le aree ad elevata criticità idrogeologica rappresentano circa il 10% della superficie del territorio nazionale e riguardano l’81,9% dei comuni; in esse vivono 5,8 milioni di persone per un totale di 2,4 milioni di famiglie; in tali aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici e più di 2/3 delle zone esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive». Non ci si rende conto che i veri vincoli ambientali sono quelli che con le gettate di cemento ed acciaio irrigidiscono il sistema geografico-fisico di un territorio, il quale, invece, per sua natura, è dinamico ed evolutivo, e che se costretto, risponde alle costrizioni fisiche inondando, alluvionando, franando, ovvero provocando tutto quel complesso di fenomeni degradativi che di solito riassumiamo con «dissesto idrogeologico». Sullo sfondo di questo quadro la politica nazionale ha avuto un sussulto e a livello parlamentare, in una forma trasversale agli schieramenti, è stata avanzata una proposta di legge (Disposizione per il contenimento del consumo del suolo e la tutela del Paesaggio), votata all’unanimità in sede di Commissione ambiente della Camera dei deputati. La risposta del governo è stata quella di stanziare poco meno di 200 milioni di euro in tre anni, rispetto alla richiesta di «almeno 500 milioni annui».
Non si capisce su quali altri temi si possa trovare comune accordo se non su quelli che attengono alla abitabilità e alla vivibilità, sicura e di lungo periodo, dei territori racchiusi entro i confini nazionali. Se non è prima di tutto su questi temi di interesse comune che si fonda l’intesa parlamentare, viene allora il sospetto che questa si costruisca, ancora una volta, sui benefici economici e affaristici di pochi, spacciando le «larghe intese» come salvaguardia in comune degli interessi particolari di alcuni.
Lorenzo Orioli
Tragedie come quella che ha colpito la Sardegna provocano sempre (giustamente) delle reazioni, anche tra i nostri amici collaboratori e lettori. Per questo dedichiamo all’argomento le lettere di questa settimana, a partire dalle testimonianze di Nereo Liverani, giornalista de «La Nazione», e di Lorenzo Orioli, coordinatore del Cenacolo ecologico toscano «Persona e creato». Da parte mia ricordo soltanto che nel Cenacolo di Santa Croce a Firenze, che ospita (ancora per poco perché presto tornerà in basilica) il famoso Crocifisso di Cimabue, simbolo stesso dell’alluvione del 1966, ci sono dei bandierini che indicano il livello raggiunto dall’acqua dell’Arno nel corso dei secoli: il bandierino più alto è quello del 1966, ma pochi centimetri sotto c’è quello del 1333. Racconto questo per dire che le alluvioni non sono una novità e forse (ma lo dico da ignorante in materia) non bisogna eccedere nel parlare di cambiamenti climatici ed in particolare di tropicalizzazione del clima. Certo è che la mano dell’uomo ha aumentato i problemi, diventando spesso la causa di tante morti che altrimenti non si registrerebbero.
Andrea Fagioli