Le scelte sbagliate della grande industria

Caro Direttore«Non si può giocare sul futuro del Paese». È questa l’espressione conclusiva della sua riflessione sulla crisi Fiat, sul numero 37 di Toscanaoggi. In realtà, mi pare che da lungo tempo le lobbies della grande industria abbiano giocato a piacimento con le sorti nazionali, di fatto stabilendo scelte politiche a loro favorevoli, e tranquillamente stiano seguitando a fare lo stesso per i tempi che verranno.

Per il passato remoto, mi riferisco alla politica governativa, fino alla caduta del muro di Berlino, di rastrellare massicciamente il risparmio dei cittadini alle condizioni-capestro dell’allora «mercato chiuso», per poi convogliarlo a «prezzo politico» alle aziende. Ciò ha sicuramente favorito uno sviluppo industriale straordinario, ma dalle basi d’argilla: la posizione monopolistica della grande industria ne ha determinato l’inefficienza di fondo, che adesso si è manifestata in modo eclatante, ma che evidentemente andava erodendo da molto tempo la sua concorrenzialità.

Un altro effetto macroscopico della politica anzidetta, nel tempo, è stato quello dell’inflazione devastante. Un altro ancora quello della crescita incontrollata del debito pubblico, che pare stia oggi oscillando sulla soglia dei tre milioni di miliardi di vecchie lire.

Per il passato recente e per il presente, mi riferisco ad esempio all’«Alta Velocità»: operazione inutile e costossima per il contribuente, nonché di sensibile nocumento al territorio, quanto lucrosa per i grandi consorzi industriali che la realizzano.

Per il futuro, nel solco della coerente fedeltà alla linea citata, c’è la luminosa prospettiva del «Ponte sullo Stretto», a fare il quale gareggiavano Rutelli e Berlusconi nell’ultima campagna elettorale. In merito alla convenienza pubblica di quest’ultimo progetto, è stato illuminante il servizio che ne ha fatto la trasmissione di Rai3 «Report», lo scorso 24 settembre, evidenziandone le incongruenze macroscopiche.

E quindi ora consideriamo la prospettiva non remota che le suddette politiche dilapidatorie, oltre a compromettere qualche decina di migliaia di posti di lavoro, ci portino in futuro – quando non ci saranno più spazi per sottrarsi ai vincoli comunitari – ai margini dell’Europa, nonchè ad essere colonizzati dalle grandi aziende estere. Riguardo poi al suo richiamo all’assunzione piena, ciascuno nel proprio ruolo, delle proprie responsabilità, devo rilevare dolorosamente come la nostra Chiesa non abbia ancora saputo esprimere una pastorale che, concretamente, facesse maturare un popolo cristiano «adulto», nel quale la consapevolezza degli avvenimenti, la responsabilità civile, l’esigenza del buon governo della cosa pubblica, non fossero degli «optionals». E aggiungerei che, ancora a proposito di responsabilità e in relazione a quanto ho esposto, un esame di coscienza da parte dei media cattolici circa la tensione alla ricerca dei «risvolti scomodi» degli eventi, alla indipendenza dai «poteri forti» e alla completezza e costanza nel seguire i temi «difficili », non sarebbe fuori luogo. Tantopiù che l’informazione, come è noto, è quasi totalmente in mano ai suddetti «poteri forti».Pier Luigi TossaniFirenze

La sommaria ricostruzione delle vicende italiane che lei fa è certamente ingiusta perché dimentica i tanti traguardi raggiunti e che hanno portato il nostro Paese, uscito quasi distrutto dalla guerra, a sedere a buon diritto tra i «grandi» della terra. Sono però d’accordo che di errori ne sono stati compiuti e che questi errori oggi pesano, specie in un contesto «globalizzato». La stessa Fiat si ritrova in questa grave crisi per scelte economiche e di mercato poco lungimiranti e sulle quali la politica nazionale ha chiuso gli occhi quando non le ha apertamente avallate.