Caro Direttore,le scrivo per congratularmi con quel signore di Prato che la scorsa settimana ha scritto al vostro settimanale, denunciando il pericolo del sincretismo, ma che io più propriamente definirei relativismo religioso. Finalmente qualcuno che mette il dito nella piaga!Questo è secondo me, il grande rischio che corre il cattolicesimo nella nostra epoca ed è fin troppo sottovalutato, nessuno ne parla, ma finirà col travolgerci se non ne prendiamo coscienza.Segnali inquietanti in questo senso ci arrivano dall’Unione europea dove il cristianesimo è stato messo alla pari della filatelia e di altri «interessi» (e come l’ottimo Socci ha denunciato in Excalibur) e dalla nascente costituzione europea dove il Cristianesimo non è neanche nominato.E noi, Direttore cosa stiamo facendo? Vogliamo vendere i nostri principi perché magari su qualche contenuto possiamo avere delle convergenze con i no-global? Ci vendiamo per un piatto di lenticchie?Aveva ragione a denunciare il pericolo insito in questo tipo di movimento la cui matrice politica è ben nota e raramente ha prodotto qualcosa di buono.Mario BardazziPoggio a Caiano (PO)Il ragionamento del nostro lettore mi lascia un po’ perplesso ed ho la sensazione che non ci intendiamo sul significato di alcune parole. Il sincretismo è effettivamente un pericolo: quando arriviamo a dire che una religione vale l’altra e che in fin dei conti l’unica cosa che conta è credere in un essere superiore siamo evidentemente ben lontani dalla fede, almeno come la intendiamo noi cristiani. È anche vero che il dibattito sulla Convenzione europea ha mostrato su questo punto dei limiti che lo stesso Giovanni Paolo II ha denunciato più volte. Trovo anche ragionevole avere delle perplessità ad esempio sull’ingresso nell’Unione della Turchia, proprio perché la sua storia, la sua identità, profondamente permeata dall’Islam, la rende oggettivamente diversa dal resto dell’Europa. Proprio il voler allargare gli ambiti dell’Unione solo pensando al commercio o alla sicurezza può indurre a minimizzare le comuni radici cristiane del continente.Non mi sembra però questo il pericolo che hanno corso i tanti cattolici che hanno preso parte al recente Social Forum europeo. Partecipazione sulla quale sia ben chiaro è più che legittimo dissentire, così come sui tanti temi discussi o su certi slogan lanciati nel grande corteo per la pace.Ma il confronto e il dialogo sereno con tutti, anche coloro che hanno posizioni distanti dalle nostre, non implica affatto «sincretismo». Afferma la «Gaudium et spes» (n.1319): «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».Ecco perché i temi del divario Nord-Sud, della tutela dell’ambiente, del rispetto dei diritti umani, della pace, del disarmo sono temi sui quali i cristiani hanno il dovere di interrogarsi e di confrontarsi anche con chi non ha la nostra stessa fede. Con la certezza, come ci dice ancora la «Gaudium et spes» (n. 1406) che «Il rispetto e l’amore deve estendersi pure a coloro che la pensano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di sentire, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un colloquio».