L’Europa e la Turchia
Nelle sue osservazioni dello scorso numero e nelle lettere di Leonardo Rosselli e di Mario Bardazzi possiamo individuare due obiettivi polemici tipici del secondo modello di Chiesa qui accennato: la laicità e il pluralismo religioso, da voi chiamato «sincretismo» e «relativismo». Lei arriva ad affermare una cosa che ritengo molto grave: che la Turchia non può entrare nell’UE perché non è un paese di cultura cristiana. Se avesse tirato in ballo la pena di morte, le condizioni carcerarie, la discriminazione verso il popolo curdo, avrei condiviso i suoi dubbi. Ma per lei il criterio è diverso: è la religione, intesa soprattutto come insieme di credenze, di tradizioni, di teorie e di istituzioni.
In primo luogo, lei riduce la fede a religione, e la religione a cultura. Ci spieghi dunque che cos’è questa cultura cristiana da lei difesa, e come si differenzi da quella islamica.
In secondo luogo le ricordo che le istituzioni comunitarie si basano su un pluralismo di culture, e non sul monopolio di una di esse, e che l’UE si avvia ad essere una comunità di diritti, tra i quali vi è il principio di libertà religiosa attiva: non solo cioè l’UE garantisce la professione di tutti i culti, ma li considera alla stessa stregua, offrendo loro medesime opportunità di espressione, nell’autonomia reciproca e nel rispetto dei diritti umani concordati a livello internazionale.