Immigrati, i giudici devono applicare la legge
Il Titolo IV che tratta delle garanzie costituzionali e nella Sezione Iª della Corte Costituzionale, all’art. 134, primo capoverso, dice che: «La Corte Costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli altri atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni».
A questo punto appare evidente che la legge Bossi-Fini, approvata dal Parlamento, ratificata dal Presidente della Repubblica, non dichiarata incostituzionale dalla competente Corte, sia pienamente e regolarmente legge dello Stato a tutti gli effetti.
Quello che non si comprende è come un Magistrato possa dichiarare incostituzionale una legge dello Stato, non avendone la competenza, che appartiene solo alla Corte Costituzionale. Pertanto, ad essere incostituzionale è l’atto del Magistrato, che cambia a suo giudizio il valore di una legge che deve solo applicare.
È ovvio che la dichiarazione di illegittimità di una norma varata dal parlamento spetta solo e soltanto alla Corte Costituzionale. Però un magistrato chiamato a convalidare un arresto in base ad una determinata legge si può trovare come sta accadendo in questi mesi in più parti d’Italia di fronte alle contraddizioni tra quella legge e le altre che ugualmente deve applicare. Contraddizioni che non sono facilmente derimibili e questo spiega le diversità di atteggiamento tra un giudice e un altro. Secondo il nostro codice di procedura penale, ad esempio, l’«arresto in fragranza» è previsto solo per atti di «spiccatissima pericolosità sociale» e non per quelli di «modesta entità», come è il caso del reato di immigrazione clandestina introdotto dalla legge Bossi-Fini. Mi sembra questo il caso del rumeno da lei citato, colpevole, appunto, di non aver ottemperato al precedente «foglio di via». Auguriamoci che la Corte costituzionale si pronunci al più presto su questo e su altri punti della nuova legge, togliendo dubbi e disparità di trattamento.