Guerra, il referendum e il Papa
In questo caso direi tuttavia che una domanda è una domanda, così come una carota è una carota, per dirla con Cechov. Stupido (si fa per dire, naturalmente) è semmai chi cerca di sottrarsi alla risposta non sapendo, o non volendo, coglierne il senso.
Personalmente sto dalla parte di Bush quando vuole disarmare il terrorismo. Anche il Papa, su questo punto, sta con Bush. Ce lo dice tutti i giorni. Ma non vuole la guerra. Non credo che il Papa metta in dubbio la buona fede del presidente Bush, o del premier Blair, o dello stesso Berlusconi, quando dicono di considerare la guerra come l’ultima strada percorribile, esaurite tutte le altre possibilità. Ci mancherebbe che la ritenessero una fra diverse opzioni disponibili! Nemmeno Hitler, aggiungerei qui, senza con questo voler azzardare dei paragoni, sentì la necessità di assicurarsi l’Anschluss con le armi potendo realizzarlo per altre vie. Ciò che ci viene chiesto, non è di ricercare soluzioni alternative, ma di trovarle, senza illudersi di poter ritornare a mani vuote e poi ricorrere alla soluzione estrema.
La nostra società ha rinunciato alla pena di morte. Chi crede in questa scelta di civiltà, non cambierà idea di fronte ai crimini più orrendi, convinto che la coscienza del nostro tempo impedisce di ricorrere a questo strumento. In guerra muoiono vittime innocenti, civili di entrambi i fronti e soldati in buona fede e puri nelle intenzioni. Se abbiamo rinunciato a praticare la pena di morte di fronte ai delitti più efferati, non possiamo arrogarci il diritto di disporre della vita di persone innocenti. C’è il problema di disarmare Saddam, di combattere il terrorismo.
Condivido pienamente queste considerazioni sulla possibile guerra. Per «stare con il Papa» non serve un atto di fede: è che le sue argomentazioni convincono di più sul piano razionale. Del resto nessuno si scandalizza se di fronte alle minacce di Kim Jong Il (che per nefandezze commesse non è certo inferiore a Saddam) di ripartire con il programma nucleare gli Stati Uniti, anziché minacciare la Corea del Nord di un intervento bellico volto a disarmarla, hanno scelto la via negoziale per cercare una soluzione alla crisi. Per quanto riguarda invece il referendum di «Famiglia Cristiana», capisco le perplessità di alcuni: anche se «una domanda è solo una domanda», banalizzare il quesito (come è inevitabile quando si vuol lanciare un sondaggio del genere) alla fine può nuocere alla stessa causa di chi è contrario a questa guerra. Al settimanale dei Paolini dobbiamo però riconoscere il merito di aver favorito il dibattito su un tema così importante e sul quale mi sembra che la grande stampa offra spesso un’informazione a senso unico.