Imi-Sir, quell’esultanza per una condanna

Caro Direttore,avete presente quando al tempo delle elezioni politiche o amministrative, locali o nazionali, tutti alla fine hanno vinto e con dati alla mano dimostrano la verità e il contrario della verità?

Tutto ciò con il risultato tragico (o comico?) di fare apparire la verità – anche quella inconfutabile dei numeri – un fatto soggettivo. Io dico la verità, tu sei bugiardo: no! il bugiardo sei tu… e così via. Nessuno si domanda quale impatto educativo, specie tra i giovani, possa avere questo modo di agire specialmente da parte di uomini che gestiscono la cosa pubblica?

In questi giorni con la sentenza del processo di Milano mi sembra che, di nuovo, la verità venga offesa. Cioè sembra che si voglia fare passare il messaggio che una condanna a cinque anni (il massimo della pena prevista) per corruzione chiamata «semplice» (solo perché i fatti in questione risalgono al maggio 1991 e la corruzione in atti giudiziari è stata approvata solo nel febbraio 1992) sia una cosa da nulla, una bazzecola, anzi quasi una vittoria. Mi ha colpito negativamente il fatto che la maggior parte dell’informazione – stampa e tv – ha contribuito, a mio avviso, a lanciare questo tipo di messaggio ambiguo, deleterio, disorientante.

Fermo restando che per chiunque, sottoposto a giudizio, bisogna aspettare la sentenza definitiva, è pur vero che bisogna dare sempre il giusto valore alle cose. Una condanna per corruzione è un fatto gravissimo e resta tale qualunque sia l’aggettivo che le mettiamo vicino. Questo, tanto più, quando la condanna è comminata ad un uomo politico, cioè ad una persona scelta dal popolo per amministrare la cosa pubblica.E. A.Grosseto

Nel nostro ordinamento un imputato è innocente fino a sentenza definitiva di condanna. E nel caso del processo Imi-Sme, nonostante sia iniziato nel novembre 1999 e si riferisca a fatti accaduti nel lontano 1985, siamo solo al primo grado di giudizio. Aspettiamo, quindi, a trarre conclusioni frettolose. In Appello, e poi eventualmente in Cassazione, la sentenza potrebbe essere ribaltata addirittura con un’assoluzione piena, come è successo al senatore Giulio Andreotti nel processo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Detto questo, concordo con lei sul fatto che Cesare Previti e i suoi difensori avrebbero fatto meglio a non esultare, almeno per il momento: cinque anni di carcere per «corruzione semplice» non sono una medaglia di cui fregiarsi. Per non parlare degli otto anni inflitti all’ex capo dei gip di Roma, Renato Squillante per «corruzione in atti giudiziari», un fatto che, se confermato nei prossimi gradi di giudizio, è davvero grave e preoccupante. Gli unici che avrebbero ben diritto ad esultare per questa prima sentenza siamo noi cittadini, perché nonostante i mille espedienti messi in campo dalle difese degli imputati per far saltare il processo si è arrivati perlomeno ad una prima sentenza.