Abolizione della preferenza e disaffezione del cittadino
È un fatto preciso: mettiamocelo allora in testa e non ficchiamolo nel pastone delle galline notoriamente senza memoria. Non si pensi di poterlo giustificare per il fatto che sono tutti d’accordo. La volontà generale proprio perché tale ha già combinato più di un guaio. Nel caso specifico inutile nasconderlo si iscrive nel processo di lenta ma progressiva decadenza del sistema democratico. I partiti amano sempre meno il dibattito e c’è chi, come Forza Italia, celebra il decennale di fondazione senza aver celebrato un congresso. L’allergia ai dibattiti interni, alla scelta dei dirigenti con il voto (il metodo democratico che dopotutto la costituzione prescrive) raggiunge punte che vanno al di là del sistema americano dei partiti. Sono, quest’ultimi, contenitori nei quali il successo si misura prevalentemente con qualche eccezione, s’intende sui finanziamenti che i candidati raccolgono. E non risulta ci siano barboni fra i finanziatori. Ma lì almeno si vota, magari a plotoni piuttosto che individualmente, ma si vota. Da noi neppure si vota. Si applaude.
Lasciare la scelta dei consiglieri regionali ai soli partiti, come si starebbe profilando in Toscana dopo l’accordo tra maggioranza e opposizione sulla nuova legge elettorale, sarebbe un grave errore che favorirebbe ulteriormente il distacco dei cittadini dalle istituzioni. Sappiamo bene che la corsa per la preferenza può essere «dopata» da ingenti risorse a disposizione o da rapporti di tipo clientelare, ma per quale motivo ne dovrebbero essere immuni le fantomatiche «primarie»? E chi ci garantisce che vengano davvero indette? E con quali regole?