Non c’è volontà di pacificazione
Il secondo fatto che vorrei ricordare è, come dicevano i latini, che «pacta sunt servanda», quindi il fatto che molti giovani aderirono alla Repubblica Sociale Italiana non mi meraviglia affatto, l’oppressore nazista diventa «oppressore» perché l’Italia dell’8 settembre pensò bene di accantonare il patto con l’alleato tedesco. Perché allora non riconoscere la qualifica di ex-combattenti a coloro che combattevano nella Rsi?
La pacificazione meglio la riconciliazione che lei auspica è un bene che va perseguito: non possiamo dopo sessant’anni continuare a dividerci sul passato. Ma non basta invocarla, né desiderarla. Essa esige prima di tutto l’adesione alla verità dei fatti, frutto di approfondimenti storici oggi possibili, che ci aiutino a valutare. Nella Resistenza, a cui lei fa riferimento, attualmente possiamo serenamente distinguere tra una giusta lotta partigiana contro il nazifascismo e successivi episodi di violenza volti a eliminare avversari politici, spesso del tutto innocenti e che niente avevano a che fare col fascismo. E il clero e i cattolici soprattutto in certe zone hanno a questo proposito scritto un autentico martirologio. Ma non basta: occorre anche una limpida ammissione degli errori e dei crimini commessi da regimi e partiti, espressione delle ideologie che hanno insanguinato questo nostro secolo. Recenti dichiarazioni di Gianfranco Fini e di Piero Fassino evidenziano la volontà di guardare criticamente al loro passato, rinunciando definitivamente «a trincerarsi in comode, ma ormai intollerabili, ragioni di parte». Solo su queste basi è possibile riconciliazione vera, che porta con sé, nel tempo, anche il perdono che nasce dalla consapevolezza che molti, soprattutto i più giovani, furono coinvolti in avvenimenti più grandi di loro. E, infine, quella pietà condivisa che, mentre abbraccia tutte le vittime innocenti, si estende almeno per i cristiani anche a coloro verso i quali esercitarla è più difficile.