Non c’è volontà di pacificazione

Caro Direttore,la lettura della lettera «Pera e i giovani di Salò» e il suo commento mi hanno lasciato molto perplesso. Infatti, mi sembra che non ci sia nessuna volontà di pacificazione tra gli italiani a ben sessant’anni da quegli avvenimenti. Autori qualificati come lo storico di sinistra Claudio Pavone, ma anche molti altri, sostengono a ragion veduta che ci sia stata negli anni ’43-’45 una guerra civile. Indro Montanelli nella sua «Storia d’Italia» ha dedicato addirittura un volume a «L’Italia della guerra civile» nella cui prefazione tra l’altro dice: «L’Italia aveva combattuto una guerra civile che, pur non raggiungendo gli orrori di quella spagnola, aveva provocato nel Paese una spaccatura che solo oggi si comincia timidamente a cercare di superare da entrambe le parti». E ancora: «Fu una guerra dura in cui “pietà era morta”: fucilazioni, rappresaglie, orrori e vendette private da entrambi le parti».

Il secondo fatto che vorrei ricordare è, come dicevano i latini, che «pacta sunt servanda», quindi il fatto che molti giovani aderirono alla Repubblica Sociale Italiana non mi meraviglia affatto, l’oppressore nazista diventa «oppressore» perché l’Italia dell’8 settembre pensò bene di accantonare il patto con l’alleato tedesco. Perché allora non riconoscere la qualifica di ex-combattenti a coloro che combattevano nella Rsi?

Ho sempre pensato che la carità dovesse essere l’atteggiamento tipico del cattolico; a quanto pare ho nutrito una convinzione sbagliata, non si sa come ci possa essere una memoria condivisa quando si continua a demonizzare la parte perdente con uno spirito di odio che a sessant’anni di distanza è davvero incredibile. Molti caduti dalla parte perdente erano anch’essi cattolici e anche numerosi preti. Ma questo, caro Direttore, lei lo sa bene.Gianni SalaLivorno

La pacificazione – meglio la riconciliazione – che lei auspica è un bene che va perseguito: non possiamo dopo sessant’anni continuare a dividerci sul passato. Ma non basta invocarla, né desiderarla. Essa esige prima di tutto l’adesione alla verità dei fatti, frutto di approfondimenti storici oggi possibili, che ci aiutino a valutare. Nella Resistenza, a cui lei fa riferimento, attualmente possiamo serenamente distinguere tra una giusta lotta partigiana contro il nazifascismo e successivi episodi di violenza volti a eliminare avversari politici, spesso del tutto innocenti e che niente avevano a che fare col fascismo. E il clero e i cattolici – soprattutto in certe zone – hanno a questo proposito scritto un autentico martirologio. Ma non basta: occorre anche una limpida ammissione degli errori e dei crimini commessi da regimi e partiti, espressione delle ideologie che hanno insanguinato questo nostro secolo. Recenti dichiarazioni di Gianfranco Fini e di Piero Fassino evidenziano la volontà di guardare criticamente al loro passato, rinunciando definitivamente «a trincerarsi in comode, ma ormai intollerabili, ragioni di parte». Solo su queste basi è possibile riconciliazione vera, che porta con sé, nel tempo, anche il perdono che nasce dalla consapevolezza che molti, soprattutto i più giovani, furono coinvolti in avvenimenti più grandi di loro. E, infine, quella pietà condivisa che, mentre abbraccia tutte le vittime innocenti, si estende – almeno per i cristiani – anche a coloro verso i quali esercitarla è più difficile.