Caro Direttore,di questi tempi durante i quali parlare di pace è quasi un obbligo, è quantomeno strano che certi momenti storici vengano esaltati in precisi ambienti istituzionali. Mi riferisco al Risorgimento che mai ci viene presentato con occhi più obiettivi. Insistere su questo tasto, come il presidente Ciampi e non soltanto lui sta facendo un giorno sì e l’altro pure, suscita sconcerto. Perché non dire, infatti, che quella che fu in realtà una vera Rivoluzione anticattolica si produsse tramite una serie di guerre che uno Stato, il Piemonte, combatté contro altri Stati sovrani che in taluni casi, come lo Stato pontificio e il Regno borbonico, vivevano in pace da secoli? Perché dobbiamo continuare a considerare eroi chi non era certo un modello di virtù cristiane come Cavour, Mazzini e soprattutto Garibaldi, alto dignitario massonico che non esitò ad autoproclamarsi «dittatore della Sicilia» e a definire il Papa «un metro cubo di letame»?Credo che il valore della pace che soprattutto oggi dovremmo tutti perseguire non ci può far accettare positivamente un evento così legato alla logica della violenza e della guerra, anche se da un secolo e mezzo vogliono ammantarlo di eroismo e di libertà.Alex LandiFigline Valdarno (Fi)Oggi sul nostro Risorgimento è possibile dare, sul piano storico, una valutazione ampiamente condivisa. Col tempo, infatti, sono decantate passioni e interessi e la retorica ha ceduto il passo ad un’analisi più obiettiva e soprattutto più documentata. Il processo che portò all’unità d’Italia che fu e resta un valore è un fenomeno complesso, pensato e voluto da una minoranza anche generosa, che non riuscì a coinvolgere le masse e a farne così un evento di popolo; fu portato avanti da uomini di diverso spessore culturale e umano, spesso di tendenze anticlericali, più che anticristiane, fra cui tuttavia non mancano cattolici di autentica fede come Manzoni e Gino Capponi. Si è inoltre concordi nel riconoscere che non tutti gli stati preunitari meritano i giudizi sommari che furono formulati: anzi alcuni, come il Granducato di Toscana, si segnalavano per il buon governo e si sottolinea che lo stesso Lombardo-Veneto poté contare su un’amministrazione civile onesta e efficiente. Nessuno più liquida i moti post unitari del Meridione dopo il 1860 come mero brigantaggio e si riconosce che il governo piemontese li stroncò con metodi spesso brutali, perché incapace di cogliere, al di là della cieca violenza, i problemi sociali che li animavano. Emerge anche che alcuni sovrani spodestati si distinguevano per onestà e dignità spesso sconosciuta a personaggi assurti a eroi nazionali.Perché allora questo rinnovato richiamo al Risorgimento che «un giorno sì e l’altro pure» ci viene dalle dichiarazioni di «precisi ambienti istituzionali»? Io credo, caro Landi, che il motivo sia politico e abbia una giustificazione. Nel momento in cui una forza politica, la Lega, si fa portatrice di un federalismo estremo che giunge a ipotizzare l’indipendenza della Padania, opponendo Nord e Sud d’Italia con un giudizio sommario e sprezzante, ricordare gli avvenimenti che resero possibile l’unità nazionale e richiamarne il valore sia importante, soprattutto da parte di chi, come il Presidente della Repubblica, di questa unità è simbolo e garante.