Il silenzio non è solo assenza di parole

L’esordio di questo inno – «Gloria a Dio nell’alto dei cieli» – riprende il canto degli Angeli alla nascita di Gesù a Betlemme, gioioso annuncio dell’abbraccio tra cielo e terra. Dopo il «Gloria», oppure quando questo non c’è, subito dopo l’Atto penitenziale, la preghiera prende forma particolare nell’orazione denominata «colletta», per mezzo della quale viene espresso il carattere proprio della celebrazione, variabile secondo i giorni e i tempi dell’anno.

Con l’invito «preghiamo», il sacerdote esorta il popolo a raccogliersi con lui in un momento di silenzio, al fine di prendere coscienza di stare alla presenza di Dio e far emergere, ciascuno nel proprio cuore, le personali intenzioni con cui partecipa alla Messa. Il silenzio non si riduce all’assenza di parole, bensì al disporsi ad ascoltare altre voci: quella del nostro cuore e, soprattutto, la voce dello Spirito Santo. Prima dell’orazione iniziale, dunque, il silenzio aiuta a raccoglierci in noi stessi e a pensare a perché siamo lì. Ecco allora l’importanza di ascoltare il nostro animo per aprirlo poi al Signore.

Forse veniamo da giorni di fatica, di gioia, di dolore, e vogliamo dirlo al Signore, invocare il suo aiuto, chiedere che ci stia vicino; abbiamo familiari e amici malati o che attraverso prove difficile; desideriamo affidare a Dio le sorti della Chiesa e del mondo. E a questo serve il breve silenzio prima che il sacerdote, raccogliendo le intenzioni di ognuno, esprima a voce alta, a nome di tutti, la comune preghiera che conclude i riti d’introduzione, facendo appunto la «colletta» delle singole intenzioni. Il sacerdote recita questa supplica, questa orazione di colletta, con le braccia allargate è l’atteggiamento dell’orante, assunto dai cristiani fin dai primi secoli – come testimoniano gli affreschi delle catacombe romane – per imitare il Cristo con le braccia aperte sul legno della croce. E lì, Cristo è l’Orante ed è insieme la preghiera!

Nel Crocifisso riconosciamo il Sacerdote che offre a Dio il culto a lui gradito, ossia l’obbedienza filiale.