La guerra è disumanizzante
La guerra – ha detto il Papa – sfigura i legami tra fratelli e tra nazioni; sfigura anche coloro che sono testimoni di tali atrocità. Molti militari rientrano dopo le operazioni di guerra o dalle missioni per il ristabilimento della pace con vere e proprie ferite interiori. La guerra può lasciare in loro un segno indelebile.
E’ dunque necessario interrogarsi sulle modalità adeguate per curare le ferite spirituali dei militari che avendo vissuto l’esperienza bellica, hanno assistito a crimini terribili. Il ruolo del cappellano militare è quello di accompagnarli e sostenerli nel loro cammino. Il diritto umanitario si propone di salvaguardare i principi essenziali di umanità in un contesto, quello della guerra, che è in se stesso disumanizzante. Esso è volto a proteggere coloro che non partecipano al conflitto, come la popolazione civile o il personale sanitario e religioso, e coloro che non vi partecipano più attivamente come i feriti e i prigionieri.
Al tempo stesso, tale diritto tende a bandire le armi che infliggono sofferenze tremende quanto inutili ai combattenti, nonché danni particolarmente gravi all’ambiente naturale e culturale. Per poter espletare queste sue finalità il diritto umanitario merita di essere diffuso e promosso tra le forze armate, incluse quelle non statali, come pure tra il personale di sicurezza e di polizia. Tuttavia, come cristiani, restiamo profondamente convinti che lo scopo ultimo, il più degno della persona e della comunità umana, è l’abolizione della guerra. Perciò dobbiamo sempre impegnarci e costruire ponti che uniscono e non muri che separano. Dobbiamo sempre aiutare a cercare uno spiraglio per la mediazione e la riconciliazione.
Non si deve cedere alla tentazione di considerare l’altro solamente come un nemico da distruggere, ma piuttosto come una persona, dotata di intrinseca dignità, creata da Dio a sua immagine. In questo periodo, nel quale stiamo vivendo una «terza guerra mondiale a pezzi», i cappellani militari sono chiamati ad alimentare nei soldati e nelle loro famiglie la dimensione spirituale ed etica, che li aiuti ad affrontare le difficoltà e gli interrogativi, spesso laceranti, insiti in questo peculiare servizio. I cappellani devono pregare. Senza preghiera non si può fare tutto quello che l’umanità, la Chiesa e Dio ci chiede in questo momento.