Il dramma di Tertulliano

DI ANDREA DRIGANI

Nell’udienza generale di mercoledì 30 maggio Papa Benedetto XVI ha parlato di un africano, Tertulliano, che, tra la fine del secondo e l’inizio del terzo secolo, ha inaugurato la letteratura cristiana in lingua latina. Il Pontefice ha ricordato che non conosciamo con esattezza le date della sua nascita e dalla sua morte, sappiamo che cominciò a pubblicare i suoi scritti più famosi nel 197. Ma una ricerca troppo individuale della verità insieme con le intemperanze del carattere, assai rigoroso, lo condussero gradualmente – ha rammentato il Papa – a lasciare la comunione con la Chiesa per aderire alla setta del montanismo. La sua opera più nota, l’Apologetico, denuncia – ha detto Benedetto XVI – il comportamento ingiusto delle autorità politiche verso la Chiesa; spiega e difende gli insegnamenti ed i costumi cristiani; individua le differenze tra la nuova religione e le principali correnti culturali del tempo; manifesta il trionfo dello Spirito, che alla violenza dei persecutori oppone il sangue, la sofferenza e la pazienza dei martiri. Come ogni buon apologista – ha osservato – avverte nello stesso tempo l’esigenza di comunicare positivamente l’essenza del cristianesimo, per questo adotta il metodo speculativo per illustrare i fondamenti razionali del dogma. Da un punto di vista umano – ha continuato il Pontefice – si può senz’altro parlare di un dramma di Tertulliano; col passare degli anni diventò sempre più esigente nei confronti dei cristiani. Rigido nelle sue posizioni, non risparmiava critiche pesanti e inevitabilmente finì per trovarsi isolato. Del resto anche oggi restano aperte molte questioni non solo della sua riflessione filosofica e teologica, ma anche del suo atteggiamento nei confronti delle istituzioni civili e della società pagana. A me – ha osservato il Papa – fa molto pensare questa grande personalità intellettuale e morale che ha dato un grande contributo al pensiero cristiano; si vede che alla fine gli manca la semplicità, l’umiltà di inserirsi nella Chiesa, di accettare le sue insufficienze, di essere tollerante con gli altri e con se stesso. Quando si vede solo il proprio pensiero nella sua grandezza – ha proseguito Benedetto XVI – alla fine è proprio questa grandezza che si perde; la caratteristica essenziale di un grande teologo è l’umiltà di stare con la Chiesa, di accettare le sue e le proprie debolezze.