Spesso, leggendo la famosa parabola dei talenti che in questa XXXIII domenica del tempo ordinario il vangelo ci pone davanti, siamo portati a pensare: «a chi tanto e a chi niente… non è giusto!». In realtà è vero che chi ha ricevuto cinque talenti ha avuto tanto ma, considerando che un talento valeva circa 6000 denari e un denaro era la paga giornaliera di un operaio, anche chi ha ricevuto quello soltanto ha avuto pur sempre una grande somma a disposizione. Inoltre i talenti consegnati dal padrone non sono in dono, ma in prestito e vanno restituiti con gl’interessi. Perciò nessuno dei tre servi è privilegiato o svantaggiato: a chi è dato di più, più dovrà restituire. Passando dalla parabola alla vita, tutti siamo chiamati a far fruttificare i beni affidatici dal Signore, chi tanto e chi poco. Certo, non sarà chiesto lo stesso risultato al povero africano che ha sempre vissuto nella sua tribù senza che nessuno gli annunciasse il vangelo, di quanto invece sarà richiesto a un cardinale della curia romana: quante sorprese in questo senso in paradiso…Ma come si fa a mettere a frutto i nostri talenti? Come la donna ideale tratteggiata dal libro dei Proverbi nella prima lettura, dobbiamo aprire le mani al misero, stendere la mano al povero; come i cristiani di Tessalonica che incontriamo nella seconda lettura, siamo chiamati a vivere come figli della luce e del giorno. Anche chi non ha nulla in beni, carismi, doti umane, ha sempre almeno un talento da far fruttare perché, come diceva Sant’Agostino, «Colui che ha la carità, ha sempre qualcosa da donare agli altri».Se la vita è eterna, è già cominciata: come posso pretendere di vivere in paradiso nell’eterno amore di Dio, se in questa vita non sono capace neanche di vivere piccoli gesti di amore verso il prossimo? Sotterrare il talento è segno infatti di chiusura, egoismo, della grettezza di chi pensa solo a se stesso; Gesù invece vuole sottolineare che l’inerzia, l’indifferenza, la superficialità sono ostacoli che alzano un muro nei confronti di Dio. Il peccatore può essere stimolato alla conversione, il pubblicano e la prostituta possono aprirsi al pentimento; invece il freddo esecutore del minimo religioso come il fariseo, convinto di essere in credito con Dio con la semplice osservanza rituale, non può che provocare il disgusto del Signore.In questo senso si capisce anche quella frase strana di Gesù, che troviamo anche in altre parti del vangelo e che a noi appare profondamente ingiusta, con la quale si conclude la parabola dei talenti: «A chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha». Gesù intende dire che a chi ha amore, carità, solidarietà, sarà dato molto di più, «il centuplo quaggiù e l’eternità» dice in un altro contesto; a chi invece non ha, cioè non sa amare e pensa solo a sé stesso, sarà tolto anche quello che, senza amore, avrà accumulato durante tutta la vita. Infatti, tutti i beni materiali che accumuliamo li mettiamo nella banca dell’egoismo e, quindi, li perderemo perché, come dice spesso papa Francesco, il sudario non ha tasche; ciò che invece doniamo, lo mettiamo nella banca dell’amore e sarà nostro per sempre.