Ezechiele era sacerdote del tempio di Gerusalemme quando, nel 597 a.C., gli assiro babilonesi deportano il popolo d’Israele a Babilonia. Anche lui sarà fra i deportati e in esilio eserciterà la sua vocazione di profeta. Come si sa, il profeta biblico non è un indovino del futuro, ma un uomo che, ispirato dalla parola di Dio, interpreta il presente e il passato e ne spiega il perché alla luce della fede. Ai deportati che si lamentano e se la prendono con Dio egli risponde che ciò che è avvenuto è colpa loro, non di Dio: «Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso» non certo a causa di Dio, leggiamo nella prima lettura di questa XXVI domenica del tempo ordinario. Dio non manda mai i mali, le sciagure, le punizioni divine, come predicano anche oggi tanti «profeti» di sventura. Mi è rimasta impressa una vignetta trovata tanti anni fa su una rivista di enigmistica perché, nella sua semplicità, ci dice tanto in questo senso; si vede Dio con un angioletto su una nuvola mentre guarda in basso e dice: «…Il sole e i venti freschi li danno per scontati, ma i terremoti e gli uragani li chiamano punizioni di Dio!». In realtà è l’uomo che, allontanandosi da Dio, attira su di se il male o, per lo meno, non è in grado di affrontare con lo spirito giusto le sofferenze che la vita (non Dio) gli mette davanti. Ma Dio, quando l’uomo si allontana da lui, non si rassegna ed è sempre pronto a cogliere il più piccolo segno di conversione per riabbracciare il figlio prodigo che ritorna a casa e a ricolmarlo di tutti i suoi beni.In questo senso va letta la piccola parabola del vangelo di oggi dove Gesù se la prende con coloro che vivono una fede solo formale (il figlio che dice subito sì, ma poi si fa i fatti suoi) ed elogia chi, pentito dei propri peccati, ritorna a lui (il figlio che prima dice no, ma poi fa la Sua volontà). «I pubblicani e le prostitute (naturalmente pentiti) vi passeranno avanti nel regno dei Cieli» ammonisce Gesù ai farisei, che vivevano una fede solo formale. Ma siccome la madre dei farisei è sempre incinta, questa ammonizione può riguardare anche alcuni di noi oggi. Soprattutto quelli che, come il figliolo che dice subito sì, ma poi non fa la volontà del Padre, si rifugiano in una fede «da sacrestia», infarcita di tante belle e solenni cerimonie, riti formali, preghiere e coroncine varie, poi però all’atto pratico non seguono la volontà di Dio, riassunta nelle opere di misericordia che saranno l’unico metro con il quale saremo giudicati: dar da mangiare agli affamati, accogliere i forestieri, visitare i malati ed i carcerati… In pratica ciò che papa Francesco ci raccomanda continuamente.«Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio», dice Gesù e «Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto; cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova…», tuona il grande Isaia.Confidando nell’aiuto della preghiera vera e della grazia sacramentale, viviamo allora una fede fatta di poche parole e riti formali, ma di tante opere di misericordia: prenoteremo così il biglietto per il regno dei Cieli.