«I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie», scrive un profeta anonimo del VI secolo a. C. la cui opera è entrata nel libro del grande Isaia, chiamato per questo deuteroisaia: Una frase che ritroviamo nella prima lettura di questa XXV domenica del tempo ordinario e che definirei la chiave di lettura per comprendere il brano del Vangelo odierno.Gesù, come al solito, stupisce i suoi uditori, quelli di 2000 anni fa come noi oggi e racconta questa parabola degli operai dell’ultima ora che vengono pagati come quelli della prima, che in noi istintivamente provoca sempre un moto di ribellione, facendoci prendere le parti di quelli che hanno lavorato tutto il giorno sotto il sole e ricevono lo stesso stipendio di chi invece ha lavorato un’ora soltanto.In realtà noi ragioniamo sempre con un concetto di giustizia retributiva, dare per avere, tanto è vero che l’applichiamo spesso anche al nostro rapporto con Dio: «Io prego, faccio un fioretto, in cambio tu…»; un modo di pensare che è molto diverso da quello di Dio, che ragiona sempre con l’unica legge che conosce, quella dell’amore.Se però approfondiamo bene, ci rendiamo conto che in questo caso anche Dio, il padrone della vigna, si adegua e applica la giustizia retributiva, infatti dà il giusto, quanto aveva pattuito, cioè un denaro. Dà il salario di un giorno a chi ha lavorato un’ora, non il salario di un’ora a chi ha lavorato un giorno, quindi non commette nessuna ingiustizia. In verità gli operai della prima ora (cioè noi) insorgono non perché il padrone è stato ingiusto, ma perché è stato troppo buono; sono gelosi, così come il fratello maggiore nella parabola del figliol prodigo.Quando un bel giorno noi, assidui alla chiesa e praticanti da sempre, andremo in paradiso a godere della gioia dei santi, penso che dovremo fare un po’ di purgatorio, indignandoci perché vedremo, lì accanto a noi, persone che mai avremmo pensato d’incontrare in Cielo: delinquenti, peccatori, mangiapreti, bestemmiatori… E il Signore, con pazienza, verrà a spiegarci: « Tu sei stato sempre con me, ti ho donato la mia gioia fin dall’inizio; ora che hai raggiunto la gioia eterna, che t’importa se io voglio essere buono anche con questi che si sono convertiti all’ultimo minuto: sei geloso perché sono troppo buono?».In verità siamo noi i veri fortunati e privilegiati, noi operai della prima ora; gli altri non hanno avuto la stessa nostra fortuna di essere chiamati fin dall’inizio: sono stati sfortunati, magari, a non aver avuto una famiglia che gli ha trasmesso la fede, i valori cristiani, una comunità cristiana che li ha accolti fin da piccoli, come è capitato a noi. Senza contare che, se non si sono avvicinati prima, se hanno potuto lavorare un’ora soltanto nella vigna che è la chiesa, forse è anche colpa nostra, che non li abbiamo saputi coinvolgere, invogliare con il nostro esempio ed entusiasmo a lavorare per il Signore.«Gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi», conclude Gesù. Noi siamo i primi, non c’è dubbio, nella corsa verso il Regno dei cieli, ma proprio per questo, più di ogni altro, corriamo il rischio di ritrovarci fra gli ultimi se non entriamo nella mentalità di Dio, se non ci abituiamo anche noi a giudicare con la legge dell’amore.